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Il matrimonio e' dissolubile; niente assegno se la ex moglie può lavorare.

tag  News  assegno  divorzile  cassazione  sentenza 11504  2017  diniego  coniugi  per  Il  custode 

13/05/2017

Il casus belli. Il tribunale di Milano respinge la domanda di assegno divorzile proposta dalla moglie; la corte di appello conferma la decisione. La moglie, insoddisfatta della decisione, ricorre in Corte di Cassazione; la Corte di Cassazione, però, conferma la decisione dei precedenti giudici ma cambia radicalmente la motivazione giuridica del rifiuto.

In questa nuova interpretazione, dalla Corte di Cassazione, il diritto all'assegno di divorzio, previsto dalla legge del 1970, è condizionato al previo accertamento giudiziale della mancanza di mezzi di mantenimento adeguati dell'ex coniuge richiedente l'assegno o, comunque all'impossibilità di poterseli procurare per ragioni oggettive. Solo nel caso in cui il coniuge non ha mezzi adeguati ed è nell’impossibilità di poterseli procurare per impedimenti non superabili e non dipendenti da sua volontà, sorge per l’altro coniuge l’obbligo di questa corresponsione. Si tratta di un obbligo di semplice solidarietà economica. In questa nuova dialettica giuridica le insufficienze economiche dell'altro ex coniuge, se fosse in grado di produrre reddito, diventano circostanze irrilevanti. Non si tratta di fare una comparazione tra patrimoni e condizioni di vita futura degli ex coniugi e ridistribuire tra loro la ricchezza.

Accertato che l'ex coniuge ha diritto a questo assegno di divorzio, perché in obbiettive difficolta economiche, la somma da riconoscere deve essere fissata dal giudice tenendo conto dei criteri previsti dalla legge :«[....] condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio [....]». Il parametro del "tenore di vita", secondo la nuova decisione della Corte di Cassazione, induce inevitabilmente ad una indebita commistione che finisce col confondere tra loro i due principi ( se si ha diritto al mantenimento e, in caso positivo, a quanto monetariamente si ha diritto) che devono, invece, rimanere  sempre nettamente distinti  sul piano logico e giuridico.

Il matrimonio, che non c'è più, non può fruttare, dopo il suo scioglimento, una rendita che assume carattere parassitario a favore dell'ex coniuge. Il matrimonio per la Cassazione, è un "atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita. In quanto tale dissolubile."  Non vi è nessun diritto a mantenere lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio. L'assegno di divorzio ha natura assistenziale, nei confronti di un soggetto che, per condizioni obiettive, non è in grado di poter provvedere a se stesso. (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 11504/17; depositata il 10 maggio).

La sentenza della Corte di Cassazione ha avuto una grande eco sulla stampa nazionale, che le ha dedicato intere pagine, commenti e interviste a ex mariti illustri duramente castigati dalle sentenze. La domanda che traspare da molti articoli della stampa, e che molti si pongono, e se gli ex  mariti che sono già stati già condannati alla corresponsione di lauti assegni di divorzio a favore, dell'ex moglie, ben in grado di lavorare e di produrre reddito, abbiano adesso il diritto di poter ottenere automaticamente la riforma di queste  sentenze di condanna. La risposta non può che essere negativa. Le sentenze che hanno già statuito sui rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi hanno autorità di cosa giudicata e non possono essere più impugnate.  Situazione ben diversa, invece, è  quella dell'ex coniuge già condannato  al pagamento che potrà invocare la modificazione delle condizioni assumendo a suo favore il mutamento nelle more delle circostanze economiche e personali che all'epoca hanno sorretta quella  particolare decisione. La modificazione delle condizioni della sentenza, però, non potrà coinvolgere i rapporti pregressi e le somme già versate ma potrà valere solo per il futuro.

Questo concetto giuridico prosaicamente può  ben essere  reso dalla nota tarantella: "Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto...chi ha dato, ha dato, ha dato...scurdámmoce 'o ppassato, simmo 'e Napule paisá!...".

Per l'interesse che riveste questa sentenza della  Corte di Cassazione sull'assegno divorzile del 2017 la pubblichiamo nella sua interezza, per una migliore comprensione del suo significato, che spezza con il passato interpetativo della legge sul divorzio ed apre nuove orizzonti per opera della stessa suprema corte che da custode delle leggi finisce con l'assumere il ruolo di protagonista della mutevolezza delle interpretazioni delle leggi. Ci son voluti 40 anni per giungere a delle conclusioni che erano evidenti fin dall'inizio e con una semplice lettura del testo letterale della legge introdotta nel 1970.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.