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Il riconoscimento di paternità, solo se nell'interesse della minore

Nella foto: William Hogarth: L'attribuzione di paternità

L’ex compagno della donna si rivolge al tribunale chiedendo il riconoscimento della figlia, che all'epoca della nascita non aveva potuto riconoscere a causa del mancato assenso della madre. Il presunto padre affermava che all'epoca non aveva potuto effettuare il riconoscimento perché la madre si era opposto ponendo in evidenza le minacce verbali e fisiche cui era stata sottoposta dall'uomo, che erano proseguite anche dopo la nascita della bambina, in modo tale da costituire grave rischio per il benessere e l'equilibrio psicofisico della piccola.

La domanda, dopo essere stata opportunamente istruita, è stata respinta dal tribunale perché nel giudizio era emerso il carattere violento ed aggressivo del presunto padre.

Contro la decisione, il presunto padre ha proposto ricorso in corte d'appello. La corte d'appello, però, ha respinto la domanda di riconoscimento affermando il seguente principio giuridico: “ll genitore vanta un diritto costituzionalmente garantito al riconoscimento del proprio figlio naturale, che può essere sacrificato solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da far ritenere la probabilità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore, ritenne nella specie sussistenti i presupposti perchè dal riconoscimento potesse derivare per Ma. il pericolo di tale compromissione. Ciò in base al vissuto dell'uomo ed alla sua personalità, tenuto conto che egli era cresciuto in un contesto difficile, caratterizzato da violenti litigi fra i genitori e dall'abuso da parte del padre di sostanze alcooliche, e che il facile ricorso alla violenza aveva sempre caratterizzato la vita del M., segnata anche dallo stato di detenzione per otto anni a seguito della commissione di un crimine consistito nell'aver provocato la morte di un coetaneo nel corso di una lite. Ed anche la relazione con la Mo. era stata altamente conflittuale per la incapacità dell'uomo di controllarsi, anche in conseguenza dell'abuso di alcool, così come il rapporto con gli zii materni della piccola, che egli aveva minacciato. Nè il M. si era mai impegnato nella ricerca di una stabile occupazione e di una dignitosa abitazione. Inoltre egli aveva volontariamente omesso di continuare ad avvalersi del supporto terapeutico messo a sua disposizione.”

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso del padre che non ha ritenuto di accettare la decisione della corte d'appello, ha confermato la sentenza impugnata affermando che “La Corte di merito ha lumeggiato la personalità dell'attuale ricorrente ripercorrendone, con dovizia di particolari e con scrupoloso esame dei dettagli, emersi dagli atti del giudizio, le tappe più significative del percorso di vita, e ricavandone un quadro dal quale ha motivatamente tratto il convincimento delle sue gravi carenze come figura genitoriale e della compromissione dello sviluppo psico-fisico della minore che il suo riconoscimento da parte dello stesso comporterebbe.

A fronte di tale iter motivazionale, corretto ed esaustivo da un punto di vista logico ed immune da vizi giuridici, prive di rilievo nella presente sede risultano le contestazioni del ricorrente, fondate essenzialmente sulla rivisitazione dei dolorosi episodi della sua vita già ampiamente esaminati dai giudici di merito, ed interpretati secondo una diversa chiave di lettura.”

Cassazione civile  sez. I  11/12/2013 N. 27729

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.