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La raccomandata in giacenza all’ufficio postale va ritirata prima che sia restituita all’azienda mittente.

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30/06/2023

A volte capita che l'azienda invii al dipendente una lettera con posta raccomandata, per la rilevanza del suo contenuto, che rimane in giacenza presso l'ufficio postale perché il destinatario non si è preoccupato di curarne il ritiro e conoscerne così il contenuto.

La lettera raccomandata non ritirata, dopo la scadenza del termine di giacenza nell'ufficio postale, è così restituita dalle poste al mittente per compiuta giacenza.

Che valore giuridico ha questa lettera restituita al mittente per compiuta giacenza?

La sentenza della Corte di Cassazione, che commentiamo, illustra e fissa i principi che regolano questa materia.

Il fatto della controversia sottoposto all’esame dei giudici può essere così sintetizzato: il datore di lavoro ha comunicato il licenziamento ad una dipendente, con lettera raccomandata spedita al domicilio che la lavoratrice aveva indicato come suo luogo di reperibilità. La lettera raccomandata è stata restituita dalle poste al datore di lavoro per compiuta giacenza non avendo la lavoratrice provveduto al ritiro.

La lavoratrice, venuta a conoscenza in epoca successiva di essere stata licenziata, ha impugnato tardivamente il licenziamento sostenendo di non aver potuto ritirare la lettera in giacenza presso l'ufficio postale perché nella sua cassetta postale non ha mai rinvenuto l'avviso dell’avvenuto deposito per il ritiro che il postino avrebbe dovuto lasciarle.

Il datore di lavoro, secondo la prospettazione della difesa della lavoratrice, doveva fornire la prova che l'ufficiale postale aveva effettivamente lasciato nella sua cassetta postale quest'avviso. Il datore di lavoro, però, sempre secondo la prospettazione della difesa della lavoratrice, non ha dato la prova dell’assolvimento di questo specifico adempimento con la conseguenza che il licenziamento doveva ritenersi inefficace perché mai comunicato.

I giudici di merito hanno ritenuto irrilevante la mancata produzione della copia dell'avviso immesso in cassetta perché a questo specifico fine "è sufficiente la produzione della ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative, provenienti da Poste italiane, dalle quali si desumono la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l'ufficio postale, la sua restituzione al mittente all'esito della compiuta giacenza; documentazione ritenuta conducente ai fini probatori fondativi della presunzione di legale conoscenza, perché estratta dai dati informatici di Poste, soggetto al quale è affidato il servizio pubblico essenziale rappresentato dal servizio postale universale con attribuzione di funzioni di certificazione".

Per il Tribunale e per la Corte di Appello era specifico onere della lavoratrice dare l’eventuale prova dell'impossibilità di averne avuto notizia senza sua colpa. Nel caso in esame l'azienda ha correttamente inviato la lettera raccomandata all'indirizzo che le era stato comunicato dalla stessa lavoratrice.

La lavoratrice ha proposto contro la sentenza il ricorso in Cassazione ribadendo le sue difese.

La Corte di Cassazione ha respinto ogni gravame confermando la sentenza della Corte di Appello.

Per la Cassazione "a norma dell'art. 1335 c.c., gli atti unilaterali diretti a un determinato destinatario (come il licenziamento) si reputano conosciuti nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia. Si tratta di una presunzione legale di conoscenza, nel senso di conoscibilità equiparata a legale conoscenza, fondata sulla prova del pervenimento all'indirizzo del destinatario della comunicazione. Affinché tale presunzione legale sia superata, è necessario che sia fornita la prova contraria dell'impossibilità di averne notizia senza colpa del destinatario. Pertanto, occorre, in caso di contestazione in giudizio, procedere ad un accertamento di fatto (appunto probatorio), che deve fondarsi su un governo logico, coerente e motivato delle risultanze probatorie, soltanto in questi limiti censurabile in sede di legittimità.

Ora, nel caso in esame, la Corte di merito ha ritenuto idonea a dimostrare il perfezionamento del procedimento notificatorio (ossia del pervenimento della comunicazione di licenziamento al domicilio della lavoratrice), pur in mancanza di produzione di copia dell'avviso immesso in cassetta, la produzione della ricevuta di invio della raccomandata contenente la lettera di licenziamento, accompagnata dalle schede informative, provenienti da Poste Italiane, dalle quali si desumono la mancata consegna della raccomandata, il suo deposito presso l'ufficio postale, la sua restituzione al mittente all'esito della compiuta giacenza; documentazione ritenuta conducente ai fini probatori e fondativi della presunzione di legale conoscenza, perché estratta dai dati informatici di Poste Italiane, soggetto al quale è affidato il servizio pubblico essenziale rappresentato dal servizio postale universale con attribuzione di funzioni di certificazione.” Cassazione civile sez. lav., 31/05/2023, (ud. 16/02/2023, dep. 31/05/2023), n.15397.

 

L'insegnamento da trarre dai principi affermati in sentenza dalla Cassazione e dai giudici di merito è che il destinatario di una lettera raccomandata deve attivarsi in modo diligente per il tempestivo ritiro della lettera che si trova in giacenza presso l'ufficio postale perché il suo mancato ritiro equivale ad averne avuto piena e totale conoscenza presuntiva, con tutti gli effetti giuridici che ne conseguono sulla tutela della propria posizione soggettiva. Il tutto, sempre a condizione che l’indirizzo presso il quale la raccomandata è stata inviata sia l’indirizzo corretto che deve corrispondere a quello che il lavoratore ha comunicato in azienda come suo recapito per le comunicazioni.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.