A- A A+

Con il trasferimento il lavoratore deve conservare la qualità delle mansioni già svolte

tag  News  trasferimento  lavoro  store manager  tribunale  milano 

06/03/2023

La lavoratrice presta la sua attività lavorativa a Milano in qualità di store manager presso un punto vendita outlet che la società decide di chiudere definitivamente, come in effetti ha chiuso. La lavoratrice chiedeva di essere assegnata ad un altro punto vendita della società, tra cui quello di Como. L’azienda, disattendendo la richiesta della lavoratrice, le ha comunicato il trasferimento presso il negozio di Modena per consolidarne, a suo dire, l’organizzazione. A Modena l’azienda occupava già tre dipendenti, di cui due a tempo determinato e uno a tempo indeterminato. I contratti a tempo determinato non sarebbero stati più rinnovati alla loro scadenza per consentire il pieno utilizzo della lavoratrice trasferita.La lavoratrice ha contestato e impugnato il trasferimento a Modena ritenendolo illegittimo. Rivolgendosi al Tribunale, la lavoratrice ha contestato il trasferimento a Modena perché in questo punto vendita e, sua nuova sede di lavoro, non vi era la necessità di una store manager, suo profilo professionale, in quanto in questo punto vendita vi era già altra risorsa con uguale qualifica che assorbiva ogni esigenza aziendale. L’azienda si è difesa affermando di non aver la possibilità di poter utilizzare la lavoratrice in nessuna delle città lombarde, perché in nessun negozio vi era la necessità di nuovi inserimenti, come dimostrato anche dall’aver dovuto far ricorso alla cassa integrazione del personale dipendente  per numerose ore. Nella sede di Modena, la lavoratrice non poteva assumere il ruolo di store manager, poiché la tipologia del negozio di Modena era ben diversa da quella di Milano che, in quanto negozio on the road destinato alla vendita di capi outlet, aveva una organizzazione, una clientela e modalità di commercio molto diverse. Il Tribunale ha dichiarato legittimo il trasferimento, considerato che pacificamente il punto vendita di Milano era stato effettivamente chiuso con la conseguente necessità di dover trovare una diversa collocazione al personale che vi lavorava. Il trasferimento a Modena è stato ritenuto legittimo perché la nuova sede di destinazione del lavoratore non doveva rappresentare l’unica possibilità di potere occupare la lavoratrice, quanto piuttosto una delle soluzioni possibili, a nulla rilevando che vicino a Milano e alla residenza della lavoratrice vi fossero altri negozi presso cui poterla adibire. Per il Tribunale di Milano la legittimità di un trasferimento doveva essere misurata sulla presenza delle ragioni tecnico organizzative e non sul demansionamento che la lavoratrice avrebbe potuto subire nel nuovo posto di lavoro. Nel negozio di Modena la lavoratrice non poteva assumere il ruolo di store manager perché quella tipologia di organizzazione era diversa dal negozio di Milano e non richiedeva questa figura professionale. L’adibizione alle mansioni di commessa non è rilevante ai fini della valutazione della legittimità giuridica del trasferimento. Il trasferimento è legittimo anche se nella nuova sede di lavoro la lavoratrice ha avuto l’attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle in precedenza svolte.Contro la decisione del Tribunale ha proposto Appello la lavoratrice sostenendo l’erroneità della tesi affermata dal Tribunale che, al fine di ritenere legittimo il trasferimento, ha ritenuto sufficiente che la società avesse un lavoratore in esubero in una sede e necessitasse di una risorsa in un’altra, quale che fosse il livello di inquadramento contrattuale del lavoratore trasferito. La Corte di Appello di Milano ha totalmente accolto l’impugnazione della lavoratrice. Innanzitutto, la Corte di Appello ha evidenziato che le mansioni di commessa, che la lavoratrice trasferita avrebbe dovuto svolgere nel negozio di Modena, erano mansioni diverse ed inferiori rispetto a quelle di store manager già svolte nel negozio di Milano che è stato chiuso. Per la Corte di Appello, questo demansionamento incide sulla legittimità del trasferimento perché “il trasferimento del lavoratore da una unità produttiva dell’azienda ad un’altra, con adibizione a mansioni incoerenti con l’inquadramento iniziale , costituisce un demansionamento in violazione dell’art. 2103 cod. Civ. che implica la nullità del provvedimento datoriale del trasferimento”. La Corte di Appello, con questa sua decisione, ha richiamato il costante indirizzo della suprema Corte di cassazione che ha sempre affermato quanto segue “la violazione della norma imperativa contenuta nell'art. 2103 c.c. implica la nullità del provvedimento datoriale di trasferimento del lavoratore dalla originaria sede produttiva ad altre unità produttive e la condanna del datore di lavoro ad assegnare nuovamente il dipendente, fatto salvo l'esercizio dello ius variandi, alla precedente sede con le mansioni già svolte, dovendosi ritenere che, ove venga accertata l'esistenza di un comportamento contrario all'art. 2103 c.c., il giudice di merito, oltre a sanzionare l'inadempimento dell'obbligo contrattualmente assunto dal datore di lavoro con la condanna al risarcimento del danno, può emanare una pronuncia di adempimento in forma specifica che, pur non essendo coercibile, nè equiparabile all'ordine di reintegrazione L. n. 300 del 1970, ex art. 18, ha un contenuto pienamente satisfatorio dell'interesse leso in quanto diretta a rimuovere gli effetti che derivano dal provvedimento illegittimo. Non è dunque condivisibile l'assunto secondo cui il potere organizzativo del datore di lavoro e il diritto del lavoratore ad essere adibito a mansioni coerenti con il proprio inquadramento professionale operino su due piani distinti; ciò potrà avvenire laddove il trasferimento ad un diverso settore aziendale non sia incompatibile con l'adibizione del lavoratore a mansioni equivalenti a quelle precedentemente svolte, posto che, in questo caso, la rimozione degli effetti del demansionamento non si porrebbe in contrasto con le disposizioni organizzative datoriali; diversamente, ove il ripristino nelle originarie mansioni comporti l'impossibilità di mantenimento del lavoratore nel diverso settore aziendale ove è stato oggetto di demansionamento, sarà la stessa disposizione organizzativa che non potrà essere mantenuta, siccome essa stessa produttiva della violazione dell'art. 2103 c.c.. “. Corte di Appello di Milano sezione lavoro sentenza numero 185 pubblicata il 27 febbraio 2023. Per la Corte di Appello nella nuova sede di lavoro di Modena la lavoratrice aveva il diritto di essere adibita allo svolgimento delle precedenti superiori mansioni o a mansioni equivalenti. Il mantenimento del livello qualitativo delle mansioni è circostanza rilevante ed essenziale ai fini della legittimità del trasferimento in altra sede. La sola circostanza che il negozio di Milano fosse stata chiusa non può giustificare qualsiasi decisione aziendale che deve sempre e comunque essere adottata rispettando il principio dell’equivalenza delle mansioni, principio che non tollera eccezioni di sorta.

Il sito e lo studio.

10/01/2016   In questo sito trattiamo in modo sistematico gli istituti (fonti, presupposti, effetti) del diritto del lavoro e pubblichiamo una selezione ragionata di giurisprudenza realmente operativa. Focus sulla Lombardia: decisioni di Corti d’Appello e Tribunali del territorio, baricentro del diritto vivente per volume di cause e specializzazione dei magistrati. Lo Studio si... [Leggi tutto]

Il risarcimento del danno per la perdita del prossimo congiunto

08/10/2022 La perdita del prossimo congiunto per fatto e colpa d’altri cagiona pregiudizi di tipo esistenziale, i quali sono risarcibili perché conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona: nel caso dello sconvolgimento della vita familiare provocato dalla perdita di congiunto, il pregiudizio di tipo esistenziale è risarcibile appunto perché consegue alla... [Leggi tutto]

Socrate: nel cuore del processo, tra parola, verità e giustizia

06/03/2021 Nei tribunali si discute. A lungo, a volte all’infinito. Si ascoltano tesi opposte, si sollevano eccezioni, si contestano fatti, intenzioni, circostanze. A chi guarda da fuori, tutto questo può apparire cavilloso, ripetitivo, perfino inutile. Ma Socrate — nel suo celebre dialogo con Eutifrone — ci invita a guardare più a fondo. “Non è sul... [Leggi tutto]

GLI OBBLIGHI DI MANTENIMENTO NELLA SEPARAZIONE SONO DIVERSI DA QUELLI A SEGUITO DI DIVORZIO

05/03/2019 La corte di appello pone a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla moglie un assegno mensile di mantenimento pari a € 2000. La decisione poggiava sul fatto che la moglie non lavorava per potersi dedicare alla famiglia, il marito era un professionista affermato ed era proprietario di numerosi immobili mentre la moglie non aveva fonti di reddito diverse dall'assegno percepito dal... [Leggi tutto]

Il patto di non concorrenza nel rapporto di lavoro subordinato: natura, funzione e limiti di validità

02/01/2022 Il patto di non concorrenza è un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive: – il datore di lavoro si obbliga a corrispondere al lavoratore una somma di denaro (o altra utilità); – il lavoratore si impegna, per un periodo successivo alla cessazione del rapporto, a non svolgere attività in... [Leggi tutto]
Diritto del lavoro — In questo sito trattiamo in modo sistematico gli istituti del diritto del lavoro (fonti, presupposti, effetti) e pubblichiamo una selezione ragionata di giurisprudenza realmente operativa. Il tutto con particolare attenzione sulla Lombardia: decisioni di Corti d’Appello e Tribunali del territorio, baricentro del diritto vivente per volume di cause e specializzazione dei magistrati. Le controversie si definiscono soprattutto nei giudizi di merito; la Cassazione interviene su motivi di legittimità assai circoscritti. Offriamo sintesi tecniche, massime giurisprudenziali  utili e rimandi ai testi integrali.

Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.