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Il datore di lavoro deve sempre vigilare sull’osservanza delle misure di sicurezza.

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06/02/2023

Un operaio specializzato del settore dell’edilizia con mansioni di caposquadra ha lamentato che, negli ultimi 2 anni della sua prestazione lavorativa, era stato adibito alla manutenzione dei pozzetti delle fogne stradali e di non aver più svolto mansioni di caposquadra ma semplici mansioni esecutive, svolgendo così un lavoro di manovalanza estremamente ripetitivo e dequalificante. Con l'adibizione a queste mansioni inferiori il lavoratore ha eccepito che l'azienda si era resa gravemente responsabile del mancato rispetto delle limitazioni e prescrizioni certificate, sin dall'anno 2010, dal medico del lavoro, relative al divieto di adibirlo al sollevamento manuale di materiali pesanti e/o ingombranti, essendo egli affetto da “artrosi della colonna vertebrale diffusa con alterazioni dei dischi intervertebrali” e dal 2010 giudicato, dal medico del lavoro, idoneo allo svolgimento delle mansioni ma con prescrizioni e limitazioni. In particolare, la limitazione del medico prevedeva che non dovesse “essere addetto a mansioni che prevedano il sollevamento manuale di materiali pesanti e/o ingombranti e/o in condizioni disagevoli e/o in modo continuativo o rapido e comunque nel rispetto dei limiti previsti dalla legge”.

Il lavoratore ha dedotto che il mancato rispetto delle già menzionate limitazioni mediche ai carichi da parte dell'azienda, determinavano l'insorgenza e il progressivo aggravamento della sua malattia professionale come malattia” da sovraccarico biomeccanico del rachide, con un danno biologico permanente” pari all'8-9%.

La Corte di Appello di Milano ha accolto la domanda del lavoratore, riformando la sentenza del tribunale che l'aveva rigettata.

La Corte di Appello ha assunto questa decisione perché processualmente è emerso che negli

atti di causa vi erano le prescrizioni impartite dal medico competente che avevano proibito nel tempo di adibire il lavoratore al sollevamento di pesi di qualsiasi tipo, poi il divieto ha avuto ad oggetto lo spostamento manuale di pesi in modo continuativo sopra i 3 chili e per ultimo la prescrizione di sollevare pesi oltre i 10 kg. I testimoni, che sono stati sentiti sui fatti di causa dal tribunale che ha respinto la domanda risarcitoria, hanno confermato che effettivamente il lavoratore, nonostante questa prescrizione medica, aveva continuato quotidianamente ad essere adibito allo svolgimento delle attività di movimentazione dei carichi. Il consulente tecnico d'ufficio nominato dalla Corte d'Appello, esperto in medicina del lavoro, nella sua relazione ha affermato che le mansioni assegnate al lavoratore non possono non aver inciso negativamente sulle sue condizioni di salute "favorendo l’evoluzione della patologia degenerativa disco vertebrale, configurandosi quindi una tecnopatia a carico del rachide lombosacrale riconducibile concausalmente all’attività lavorativa svolta”.

Per la Corte di Appello di Milano la genesi della patologia è " riconducibile alle mansioni svolte, essendo sufficiente per far sorgere la tutela in favore del lavoratore che l'esposizione al rischio sia stata concausa della malattia, non richiedendosi che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente".

La domanda di risarcimento del danno alla salute proposta dal lavoratore è stata accolta dalla Corte di Appello anche perché è risultata provata la circostanza in fatto che il datore di lavoro non aveva "assolto l’onere di dimostrare di avere puntualmente adempiuto ai propri obblighi di protezione, tra i quali specificamente quelli di cui il danneggiato aveva allegato l’inosservanza: fornire al dipendente strumentazione adeguata per la movimentazione dei carichi; di vigilare sull’osservanza delle procedure e delle direttive impartite per prevenire i rischi”. La Corte di Appello ha aggiunto che “va evidenziato che è responsabilità del datore di lavoro anche quella di assicurarsi che il dipendente effettivamente osservi le misure di sicurezza ".

La corte d'Appello ha così ritenuto sussistenti "i presupposti per l’affermazione della responsabilità risarcitoria dell’azienda per il danno c.d. differenziale”. La quantificazione del danno differenziale è avvenuta applicando le tariffe risarcitorie delle tabelle del tribunale di Milano, comparando tra loro i criteri del risarcimento dei danni previsti dal Codice civile e quelli previsto per legge dalle tabelle risarcitorie dell’Inail.

Corte di Appello di Milano, sentenza n. 978 pubblicata il 12 gennaio 2023.

La causa di Appello è stata promossa verso la metà del 2021. Per la sua decisione è stato necessario l'espletamento di una CTU medico legale. I tempi di definizione nonostante l’ammissione di una consulenza medico legale per la definizione della controversia, sono stati molto ma molto brevi. La Corte di Appello di Milano è una eccellenza nel panorama giudiziario italiano per la celerità delle sue decisioni.

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.