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Il patto di prova esige che le mansioni siano indicate in modo specifico

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13/02/2023

Con ricorso al Tribunale di Roma, una lavoratrice esponeva di aver lavorato alle dipendenze di un’azienda  con un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e a part time, in qualità di addetta ai negozi e/o filiali di esposizione, inquadrata nel V livello del ccnl terziario della distribuzione e dei servizi e di essere stata licenziata per mancato superamento del periodo di prova.

La lavoratrice, sostenendo che il patto di prova era nullo per la mancata indicazione delle mansioni alle quali avrebbe dovuto essere adibita, con conseguente illegittimità del licenziamento, chiedeva che fosse dichiarata questa nullità del patto di prova con la conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento di tutte le residue mensilità retributive dal licenziamento fino alla scadenza del contratto a termine.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 14/07/2021, ha rigettato le domande della lavoratrice compensando le spese di lite.

            La lavoratrice ha proposto tempestiva impugnazione con ricorso depositato in data 20/12/2021, avanti la Corte di Appello di Roma. La lavoratrice censurava la decisione di primo grado, lamentando che il Tribunale aveva erroneamente omesso di considerare che l’“addetto a negozi o filiali di esposizioni” è una categoria e non un profilo, atteso che la categoria può contenere più profili come l’addetto alle pulizie, l’aiutante commesso, il commesso, l’addetto alle vetrine, l’addetto alla cassa etc.

            A tal riguardo, la lavoratrice deduceva che l’indicazione delle mansioni da svolgere poteva avvenire anche richiamando le declaratorie del contratto collettivo, sempre che tale richiamo fosse sufficientemente specifico. Nel caso in cui la categoria di un determinato livello accorpi una pluralità di profili, sarà necessaria l’indicazione del singolo profilo, risultando generica quella della sola categoria, come insegna Cass. n. 9597/2017. Tutto questo nel caso in esame non era avvenuto.

La Corte di Appello di Roma ha accolto l’impugnazione della lavoratrice facendo rilevare che:

“Dall’esame del contratto di lavoro si evince chiaramente che la lavoratrice è stata assunta come “addetto a negozi o filiali di esposizioni”.

Per la Corte di Appello  “il termine “addetto” è un termine generico e omnicomprensivo e i termini “negozi” e “filiali di esposizione” sono analogamente “muti” rispetto all’individuazione delle mansioni oggetto del contratto di lavoro.

Ne consegue che, in mancanza di una maggiore specificazione nel contratto individuale di lavoro, il richiamo a quel “profilo” indicato nel ccnl è insufficiente, potendo essere molteplici e oggettivamente diverse e quindi non univoche le mansioni riferibili a quel profilo.

Pertanto la mancanza di tali indicazioni non consente al lavoratore di contestare il mancato superamento del periodo di prova e, soprattutto, al giudice di effettuare la verifica in concreto. Se ne deve dedurre la nullità del patto per indeterminatezza e indeterminabilità del suo oggetto.

Ne consegue, altresì, l’illegittimità e, pertanto, l’annullabilità del licenziamento, in quanto motivato con riferimento ad una prova esperita sulla base di un patto nullo.” Sentenza n. 4949/2022 pubbl. il 17/01/2023 RG n. 3845/2021

L’azienda è stata così condannata al pagamento a favore della lavoratrice di tutte le retribuzioni che le sarebbero spettate fino alla scadenza naturale del termine finale apposto al suo contratto di lavoro subordinato. All’accoglimento della domanda è conseguita anche la condanna al pagamento delle spese di lite a carico dell’azienda.

La causa è stata promossa avanti il Tribunale di Roma nel 2021; la sentenza del Tribunale è stata pronunciata in data 14 luglio 2021. La decisione della Corte di Appello di Roma risale al mese di dicembre 2022, con pubblicazione della sentenza nel mese di gennaio 2023. I tempi della decisione sono stati veloci così come richiesto dalle nuove direttive europee. Nulla di paragonabile rispetto al passato.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.