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Il licenziamento collettivo ha una rigida scansione procedimentale da seguire

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17/11/2022

L'inosservanza comporta la invalidità del licenziamento

La Corte di Appello di Messina ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore dalla Ksm Spa, in esecuzione della procedura di mobilità avviata, ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991, riguardante 516 dipendenti di qualifica infungibile di guardia particolare giurata privi dell’abilitazione Enac di addetto alla vigilanza aeroportuale e n. 8 impiegati amministrativi operanti nella Regione Sicilia, per omessa indicazione specifica dei lavoratori licenziandi nella lettera di comunicazione indirizzata agli uffici amministrativi competenti ed alle associazioni sindacali di categoria, in violazione dell’art. 4, nono comma della legge 223/1991.

In particolare, il vizio della procedura del licenziamento collettivo è stato individuato nel fatto che l'azienda abbia comunicato l'elenco dei lavoratori licenziati non con immediatezza e con unico atto ma con più lettere distanti nel tempo l'una dall'altra. Queste comunicazioni sono state eseguite il 7 agosto, il 14 settembre, il 9 ottobre e il 20 ottobre.

L'azienda ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Messina davanti alla Corte di cassazione; l'azienda ha lamentato che la corte di appello con la sua decisione aveva erroneamente ritenuto l'insufficienza, nella comunicazione finale agli uffici amministrativi competenti e alle associazioni sindacali di categoria, della graduatoria di tutti i dipendenti della società con l'indicazione dei punteggi attribuiti a ciascuno. La prima comunicazione del 7 agosto conteneva l'elenco dei lavoratori licenziati e da licenziare, mentre le successive comunicazioni contenevano delle mere rettifiche di errori nella redazione della prima comunicazione.

La Corte di cassazione ha respinto il ricorso con la seguente motivazione: " la comunicazione prevista dall’art. 4, nono comma della legge n. 223/1991 (il cui termine di sette giorni decorre dalla comunicazione del primo licenziamento, come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi e non già alla data di loro ricezione), per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata, non possa essere parcellizzata in tante comunicazioni (ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti), ma debba essere unica, così da esprimere l'assetto definitivo sull'elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. 26 settembre 2018, n 23034); sicché, la comunicazione del 7 agosto 2017 risulta inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate ed essendo data comunicazione dei recessi soltanto con le suindicate note successive, ben oltre il termine perentorio di sette giorni".

La comunicazione inviata dall'azienda agli uffici amministrativi competenti e alle associazioni sindacale di categoria doveva indicare in modo specifico i nomi dei lavoratori da licenziare. Questa comunicazione non poteva essere "parcellizzata in tre momenti, laddove essa non può che essere unica, tale da esprimere l’assetto definitivo dell’elenco nominativo dei lavoratori da licenziare e le modalità di applicazione dei criteri di scelta". (Cassazione Civile sezione lavoro n.. 32114 Anno 2022, data pubblicazione: 31/10/2022).

La società nel suo atto di impugnazione ha lamentato l'assenza di un qualsiasi danno da parte del lavoratore. Questa circostanza, però, dalla Corte di Cassazione è stata ritenuta del tutto irrilevante perché i tempi e le modalità della procedura di licenziamento collettivo sono assolutamente rigidi nelle forme e nelle cadenze temporali. La forma è sostanza.

 

 

 

 

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.