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La insubordinazione della cuoca di portare le colazioni in classe non era tale da giustificare il licenziamento

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27/10/2022

il fatto non sussiste perché non è connotato dalla illiceità

Una società di ristorazione ha contestato ad una lavoratrice, assunta come cuoca e che aveva avuto l'assegnazione delle mansioni di approntare i pasti della mensa scolastica alla quale era adibita nonché tutte le attività preesistenti e successive indispensabili a consentire la preparazione dei cibi, di essersi rifiutata di portare le colazioni in classe, con comportamento reiterato e recidivo. In conseguenza di questa insubordinazione ad un ordine legittimamente dato la società ha licenziato con immediatezza la cuoca.

Il Tribunale, prima, e la Corte di Appello, dopo, hanno dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare rilevando che il contratto collettivo, applicato al rapporto di lavoro, sanzionava con il licenziamento "il rifiuto di eseguire compiti ricadenti nell'ambito delle mansioni afferenti alla qualifica di inquadramento" mentre la cuoca si è rifiutata di eseguire mansioni inferiori e diverse da quelle proprie della sua qualifica.

La Corte di Cassazione, su ricorso dell'azienda non soddisfatta, ha accolto uno  dei motivi di doglianza proposti dalla società affermando che " l'illegittimo comportamento del datore di lavoro poteva giustificare il rifiuto di svolgere mansioni non corrispondenti, perché inferiori, a quelle della qualifica, purché tale reazione fosse connotata da proporzionalità e conformità a buona fede, in base a una valutazione complessiva dei comportamenti di entrambe le parti, e che questa verifica non era stata compiuta dalla Corte territoriale, la quale si era limitata alla considerazione della illegittimità della condotta della società, pretermettendo ogni verifica relativa all'entità dell'inadempimento datoriale e alla sua incidenza sul vincolo sinallagmatico delle obbligazioni scaturenti dal rapporto di lavoro." La Corte di Cassazione ha così rinviato gli atti alla Corte di Appello perché riesaminasse la controversia nel merito rispondendo adeguatamente al vizio rilevato.

La Corte di Appello di Roma, riesaminando il merito della  causa sotto il vizio e il profilo evidenziato dalla Corte di Cassazione, ha riconfermato  l'illegittimità del licenziamento perché dalle prove acquisite “la distribuzione delle merende nelle classi non rientrava nei compiti propri della qualifica in cui era inquadrata la lavoratrice, trattandosi di compiti esecutivi di livello inferiore, accertava che era acquisito in causa che la stessa si fosse rifiutata di distribuire le merende nelle classi ma che non risultava fosse stato impartito un ordine specifico in tal senso, né che in quelle occasioni la ricorrente avesse opposto un rifiuto alle sollecitazioni verbali dei referenti aziendali, sicché non poteva parlarsi di pervicace atteggiamento di insubordinazione a fronte di ripetuti richiami della lavoratrice, la quale aveva cercato un confronto con i responsabili aziendali per una soluzione di tipo organizzativo. Da parte datoriale, invece, doveva considerarsi che era acquisito in causa che la società aveva preteso dalla lavoratrice l’esecuzione di una mansione inferiore alla qualifica di inquadramento, in base a una scelta imprenditoriale non improrogabile e imprevedibile e con oggettivi effetti di aggravamento dell'impegno lavorativo.”

 La Corte di Appello reputava, pertanto, conforme a buona fede il rifiuto della cuoca di eseguire le prestazioni di consegna dei pasti in classe. La cuoca, secondo le risultanze processuali, si è rifiutata di consegnare le merende in classe ma il suo rifiuto, per come si sono svolti fatti quesiti processualmente, è stato legittimo.

Contro la sentenza della Corte di Appello di Roma pronunciata in sede di rinvio, l’azienda ha riproposto nuovamente ricorso in Cassazione sostenendone la perdurante erroneità.

Investita nuovamente della controversia, la Corte di Cassazione ha respinto definitivamente il ricorso dell'azienda: alcuni motivi di impugnazione li ha ritenuti inammissibili perché miranti ad offrire un’interpretazione dei fatti alternativa rispetto a quella risultante dalla sentenza ed altri genericamente esposti in quanto il ricorso era privo dei requisiti di autosufficienza dell'atto.

L'accoglimento della domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, infine, è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione corretto perché il fatto di rilevanza disciplinare era stato ritenuto insussistente: l'"insussistenza del fatto contestato", per la Cassazione “comprende l'ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità". Cass. civ., sez. lav., ord., 18 ottobre 2022, n. 30543, Presidente Doronzo – Relatore Esposito.

La causa ha avuto uno svolgimento degno di nota: ricorso sommario avanti il Tribunale, causa di opposizione all’ordinanza che ha definito il ricorso sommario, reclamo avanti la Corte d’appello, ricorso in Cassazione, riassunzione della causa avanti la Corte di appello, ritorno in Cassazione. Mai cuoca ha dovuto così tanto correre da un giudice all’altro per conservare il posto di lavoro e far dichiarare in modo definitivo che non aveva l’obbligo di eseguire un ordine che non rientrava tra i suoi obblighi contrattuali.

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.