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La contribuzione previdenziale è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e dev'essere connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo

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26/10/2022

L’Inps ha notificato ad una cooperativa l’avviso di addebito che ha tratto origine da un accertamento ispettivo.

Gli ispettori hanno ravvisato una pluralità di violazioni che hanno ridotto l’imponibile previdenziale e conseguentemente le somme da versare per tale titolo all’istituto previdenziale. In particolare, sono state accertate: assenze non retribuite prive di idonee motivazioni scritte, mancata corresponsione di ratei tredicesima e quattordicesima mensilità per periodi in cui erano dovuti, giornate di trasferta superiori alle giornate di presenza registrate sul lul, mancato versamento contributivo aggiuntivo per i giorni in cui la festività cadeva di domenica, come da ccnl di riferimento.

Contro l'avviso di addebito che chiedeva il versamento della contribuzione anche su questi importi retributivi non erogati ai lavoratori, la cooperativa ha proposto opposizione avanti il Tribunale, che l'ha rigettata.

La cooperativa, evidentemente non soddisfatta dalla motivazione della sentenza del Tribunale, ha proposto appello.

La cooperativa, sia in tribunale che in appello, si è difesa assumendo di non aver fatto altro che calcolare e versare i contributi sulla base delle singole retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci lavoratori; le retribuzione corrisposte tenevano conto della qualità/quantità delle prestazioni rese nel singolo mese e nelle singole giornate di lavoro; quando gli ispettori hanno rilevato n. 22 giornate mensili ( alla voce “ riduzione competenze”) anziché n. 26 giornate mensili (previste dal CCNL ) ciò non è avvenuto perché la cooperativa ha voluto omettere di retribuire o peggio retribuire in nero i propri soci lavoratori, ma perché questi ultimi, sul mese, anziché lavorare per n. 6 giorni a settimana (dal lunedì al sabato) avevano lavorato n. 5 giorni a settimana dal lunedì al venerdì; sulle assenze e sui permessi non retribuiti e sui periodi di aspettativa, gli ispettori non hanno considerato che queste assenze hanno trovato realizzazione sull’accordo delle parti e non sono state contestate dai diretti interessati. Per la cooperativa nel nostro ordinamento vige “il principio generale di corrispettività, secondo il quale la retribuzione dovuta al lavoratore – su cui debbono essere calcolati i contributi previdenziali, in base all’art. 12 della l. n. 153/1969 – è determinata in funzione della prestazione effettivamente resa”. La cooperativa, concludendo, ha invocato l’art. 7 del proprio regolamento in forza del quale” il trattamento economico complessivo dei soci lavoratori sarà proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato”.

 La Corte di appello ha rigettato integralmente l'impugnazione della sentenza perché la cooperativa con il suo atto di appello ha disatteso,” i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità da un lato in materia di minimale contributivo e dall’altro in relazione agli oneri probatori delle parti in relazione ai permessi, aspettative, trasferte."

Per la Corte di appello il rapporto contributivo è un rapporto autonomo rispetto a quello lavorativo. “Da tale principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell'obbligazione retributiva deriva la regola del cd. minimale contributivo, che prevede l'obbligo datoriale - a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell'ambito del rapporto di lavoro - di rispetto della misura dell'obbligo contributivo previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all'orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, secondo il riferimento ad essi fatto con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale - dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1(convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389).

Il principio ha fondamento nelle stesse finalità pubblicistiche della contribuzione previdenziale, posto che - come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 20 luglio 1992, n. 342 -”una retribuzione(...) imponibile non inferiore a quella minima(è) necessaria per l'assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, (in quanto), se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze".

In relazione a ciò, questa Corte (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 15120 del 03/06/2019, Rv. 654101 - 01) ha già avuto modo di affermare, in via generale ed a prescindere dal settore di attività del datore, che la, regola del cd. minimale contributivo opera sia con riferimento all'ammontare della retribuzione c.d. contributiva, sia con riferimento all'orario di lavoro da prendere a parametro, che dev'essere l'orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore, atteso che è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati.

Ne deriva che la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro (v. Cass. n. 21700 del 13/10/2009, Cass. n. 9805 del 04/05/2011 e successive conformi, che hanno superato la diversa soluzione adottata da Cass n. 1301 del 24 gennaio 2006 ed altre precedenti. Va infatti esclusa la libertà delle parti di modulare l'orario di lavoro e la stessa presenza al lavoro con effetto sull'obbligazione contributiva, considerato che quest'ultima è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e dev'essere connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo…”.

In relazione, poi agli oneri probatori delle parti, la Corte di appello ha rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha affermato, secondo un consolidato orientamento, che ” l’ l'Inps deve solo provare l'ammontare complessivo delle somme erogate ai lavoratori in costanza del rapporto di lavoro spettando, invece, al datore di lavoro provare l'ammontare delle somme sottratte all'applicazione della regola generale in ipotesi di rimborsi o indennità per trasferte, dimostrando le trasferte effettuate e l'ammontare dei rimborsi e delle indennità erogate per ciascun giorno (v., per tutte, Cass. 20 febbraio 2012, n. 2419)….rileva, dunque, il principio generale più volte enunciato da questa Corte, secondo cui, laddove si versi in situazione di eccezione in senso riduttivo dell'obbligo contributivo, grava sul soggetto che intenda beneficiarne l'onere di provare il possesso dei requisiti che, per legge, danno diritto all'esonero(o alla detrazione) di volta in volta invocata, ricadendo sul datore di lavoro che pretenda di avere accesso ai benefici contributivi previsti in caso di trasferta dei dipendenti o di rimborso per spese di viaggio, l'onere di dimostrare la causa dell'esonero dell'assoggettamento a contribuzione”.

A sostegno di questa tesi giuridica la Corte di appello ha richiamato, fra le altre, le sentenze della Cass. 22 luglio 2014, n. 16639, Cass. ord. 18160/2018 e n. 1301 del 24/01/2006) che esprimono lo stesso orientamento.

Corte di appello sez. lavoro di Milano Sentenza n. 732/2022 pubbl. il 04/10/2022.

L'impugnazione della sentenza è stata così integralmente rigettata con la condanna della cooperativa al pagamento delle spese di lite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.