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Al licenziamento non manifestatamente insussistente nella motivazione, solo il risarcimento del danno senza la reintegrazione

L’azienda nell'individuare la persona da licenziare deve operare con correttezza e buona fede

Un'azienda ha intimato un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo per la situazione di crisi aziendale di carattere non temporaneo, che alla data del licenziamento non era stata ancora risolta, e che ha imposto la riorganizzazione e la soppressione del posto di lavoro. Il Tribunale e la Corte di Appello hanno ritenuto il licenziamento illegittimo perché la società avrebbe dovuto individuare il soggetto da licenziare estendendo la comparazione soggettiva a tutti i dipendenti in servizio avente il medesimo inquadramento. Questa comparazione era necessaria perché tutti i lavoratori con quell’inquadramento erano potenzialmente licenziabili in conseguenza della riorganizzazione del reparto.

Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno ritenuto di riconoscere al lavoratore non il diritto pieno alla reintegrazione nel posto di lavoro ma solo la semplice indennità risarcitoria di natura economica, che ha fissato in 15 mensilità di retribuzione, prevedendo la legge il risarcimento edittale da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità. La misura delle 15 mensilità è stata adottata in considerazione dell’anzianità di servizio del lavoratore licenziato.

Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione il lavoratore che ha continuato a reclamare il diritto ad avere la reintegrazione nel posto di lavoro e non solo il semplice risarcimento del danno che lo ha visto escluso definitivamente dalla possibilità di poter continuare a prestare la sua opera alle dipendenze dell’azienda.

La Cassazione ha respinto il ricorso perché nel caso esaminato è emerso che effettivamente “la società datrice al tempo del licenziamento stava incontestabilmente attraversando una situazione di crisi che l’aveva determinata a procedere ad una ristrutturazione con una riduzione del personale”. I giudici del merito hanno “del pari accertato che non vi era stato la soppressione del posto di lavoro cui era assegnato il lavoratore ma piuttosto una auspicabilmente più efficiente distribuzione delle mansioni ed un ridimensionamento conseguente del numero dei dipendenti necessario”. La crisi aziendale e la necessità di ridurre l’organico erano effettivamente esistenti.

L’azienda, però, per i giudici, tutti concordi ha sbagliato nell’applicare le norme che disciplinano la materia nel momento in cui ha individuato il soggetto da licenziare perché in questa sua individuazione ha operato violando il dovere giuridico di scegliere il personale da licenziare perché non ha uniformato la sua condotta ai principi di correttezza e di buona fede. Nell'individuare la persona da licenziare non ha tenuto conto dei criteri previsti per i licenziamenti collettivi (anzianità anagrafica, di servizio e carichi di famiglia) che si devono applicare anche nel licenziamento individuale e non solo in quello collettivo.

Vera l’esigenza aziendale di ridurre i costi, errata la scelta di quel lavoratore da sacrificare.

La Corte di Cassazione ha ritenuto corretto che la Corte d’Appello abbia riconosciuto al lavoratore la sola indennità risarcitoria perché avrebbe potuto riconoscere il diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro solo nel caso in cui “l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” fosse stata “connotata di una particolare evidenza”.

Per rendere ancor più chiaro il concetto la Cassazione ha ribadito che si ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro solo in presenza di “manifesta insussistenza del fatto posto a base di un recesso per giustificato motivo oggettivo”. Si tratta di un diritto pieno e non rimesso al potere decisionale del giudice come recentemente affermato dalla Corte Costituzionale.

La manifesta insussistenza si ha quando vi è una un’assenza dei motivi evidenti e facilmente verificabili. Nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo il solo risarcimento dei danni è la regola generale mentre la reintegrazione nel posto di lavoro, con l’aggiunta del risarcimento, rappresenta un’eccezione marginale e residuale. Volgarmente scrivendo si ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro solo quando il licenziamento per giustificato motivo oggettivo appare per la infondatezza del motivo un insulto all’intelligenza di chi lo deve giudicare.

Cassazione sezione lavoro numero 13.643 depositata in cancelleria il 19 maggio 2021.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.