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L’azienda cambia le mansioni dell’impiegata per intimarle il licenziamento a conclusione della procedura collettiva per soppressione delle nuove mansioni

tag  News 

04/06/2021

Tribunale, Corte d’Appello e Cassazione, all’unisono, dichiarano la illegittimità del licenziamento

Un’impiegata si è rivolta al Tribunale di Milano lamentando la illegittimità del suo licenziamento intimato dalla Peugeot Citroen Retail Italia al termine della procedura di un licenziamento collettivo, in cui si denunciava un esubero di 7 unità lavorative.

In particolare la ricorrente, impiegata inquadrata nel 2 livello, lamentava di aver sempre svolto la mansione di "antenna garanzia" allorquando, a seguito della soppressione della relativa mansione, era stata adibita ad altre mansioni per poi essere licenziata dall’azienda nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo in quanto la mansione da ultimo svolta, ossia quella di "addetto archivio", alla quale era adibita solo da alcuni mesi, era stata ritenuta in esubero.

La lavoratrice davanti al Tribunale, nel suo ricorso, lamentava che, essendo stata adibita dalla società alla mansione di "addetto archivio" solo "temporaneamente" e negli ultimi mesi della sua prestazione lavorativa, non avrebbe dovuto essere inserita dall’azienda tra i profili da considerare in esubero e da inserire nell’elenco definitivo dei lavoratori da licenziare.

 Il Tribunale di Milano, accogliendo i motivi dell’impugnazione proposta dalla lavoratrice, ha annullato il licenziamento e ha condannato con ordinanza la società alla reintegra nell’impiegata nel posto di lavoro ed al pagamento dell’indennità risarcitoria nel limite massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto che di fatto era stata percepita. Lo stesso Tribunale con la sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione proposto dall’azienda contro l’ordinanza di reintegrazione confermava definitivamente la sua precedente decisione, che aveva disposto la reintegrazione nel posto di lavoro.

Contro questa sentenza proponeva reclamo in Corte d’Appello il datore di lavoro ma la Corte d’Appello di Milano rigettava il reclamo, condividendo gli accertamenti di fatto e le valutazioni in diritto già svolte da Tribunale.

La società, non soddisfatta, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Cassazione con poche ma ferme e chiare parole, ha respinto i motivi dell’impugnazione della sentenza. La Cassazione ha ribadito “un elementare principio di civiltà giuridica e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, quello secondo cui non è conforme a tali canoni il licenziamento di un dipendente addetto a mansioni diverse da quelle considerate in esubero ed adibita a queste ultime solo pochi mesi prima del recesso.” Il comportamento aziendale, improntato a scorrettezza contrattuale, è stato così severamente sanzionato perché il mutamento delle mansioni, adottato pochi mesi prima dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo, era stato utilizzato strumentalmente con l’intento fraudolento di licenziare la lavoratrice attraverso la procedura del licenziamento collettivo che sarebbe stata avviata da lì a qualche mese. Il tentativo aziendale, condannato all’insuccesso fin dall’inizio, non è sfuggito alla pesante censura univoca di Tribunale, Corte di Appello e Cassazione. Non poteva essere diversamente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, n. 14990, depositata il 28 maggio 2021.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.