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Nel licenziamento collettivo la comparazione del personale da licenziare non necessariamente deve essere fatta tra tutti i siti

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14/05/2021

L’azienda, però, lo deve comunicare alle organizzazioni sindacali all’avvio della procedura specificandone i motivi

La società Almaviva Contact S.p.A. ha intimato un licenziamento collettivo che ha interessato due suoi siti per centinaia di lavoratori; contro il licenziamento ha proposto ricorso una lavoratrice assumendone la illegittimità per violazione dei criteri di scelta, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro, il risarcimento dei danni e il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Per la lavoratrice la società avrebbe dovuto comparare il personale da licenziare con riferimento alla sua generale organizzazione sindacale e non riferimento al singolo sito interessato dalla riduzione. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Roma hanno rigettato le domande proposte dalla lavoratrice. La controversia è finita in Cassazione che ha confermato le sentenze di merito con una motivazione molto articolata e ricchissima di spunti giuridici. Innanzitutto, la Cassazione ha ribadito che l’impresa, ha il diritto, in tutto o in parte, di ridurre e riorganizzare liberamente e discrezionalmente la sua attività aziendale: si tratta di una scelta insindacabile dell’imprenditore. La procedura sindacale di consultazione sindacale prevista per legge, per la Corte, consente il controllo dell’iniziativa imprenditoriale sul ridimensionamento dell’impresa con il conferimento alle organizzazioni sindacali di “incisivi poteri di informazione e consultazione”. La procedura sindacale consente un incisivo controllo anticipato sull’agire dell’imprenditore, che nella prospettazione della Corte di Cassazione, è più efficace rispetto anche a quello esercitabile a posteriori dal giudice. Nel caso in esame le organizzazioni sindacali hanno partecipato attivamente alla procedura di consultazione avviata dall’impresa, esercitando con pienezza il loro controllo e ricevendo dall’azienda completa e idonea informazione.

L’azienda, con la lettera di comunicazione iniziale dell’apertura della procedura del licenziamento collettivo, ha illustrato le ragioni che, a suo dire, rendevano necessario il licenziamento di quel gran numero di lavoratori addetti a due dei suoi siti produttivi, distante geograficamente tra loro. Nella stessa lettera l’azienda ha specificato, da subito e con limpidezza, che la comparazione sulla scelta del personale da licenziare sarebbe stata eseguita solo all’interno di ciascuno dei due siti interessati dagli esuberi. Un diverso criterio di individuazione del personale da licenziare, che coinvolgesse la generalità dei lavoratori dei due siti o degli altri siti estranei alla riorganizzazione stessa, avrebbe comportato una grave e insopportabile disfunzione organizzativa, con aggravio di costi che non aveva alcuna ragion d’essere. La comparazione generale del personale da licenziare, al di là dei due siti interessati, avrebbe finito “per aggravare ulteriormente la situazione di squilibrio strutturale in cui versa l'azienda...” e avrebbe comportato anche la necessità di investire risorse economiche e sforzi organizzativi in nuova formazione con il conseguente annullamento del “bagaglio di conoscenze e di esperienze” che ne sarebbe inevitabilmente derivato.

La Corte di Cassazione ha, così, ritenuto corretta la scelta dell’azienda che ha delimitato la platea da cui attingere i nomi dei licenziandi. Ma per la Cassazione tutto questo è legittimo “, purché il datore indichi nella comunicazione prevista dall'art. 4, comma 3 citato sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti.”

La Cassazione ha sottolineato che, secondo il suo costante indirizzo giurisprudenziale, “qualora la ricorrenza delle effettive ragioni tecnico-produttive e organizzative sia stata giustificata (e comunicata), la delimitazione della platea è legittima, ove appunto non sia trascurato, nella scelta dei lavoratori impiegati nel sito soppresso o ridotto, "il possesso di professionalità equivalenti a quella di addetti ad altre realtà organizzative". Cassazione sentenza n. 12040 depositata il 6 maggio 2021.

Dalla sentenza traiamo uno spunto di riflessione, esterno ai principi giurisprudenziali affermati, che sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori. La sentenza della Cassazione è stata molto ricca di argomenti ed è interessante per la puntualizzazione dei vari principi che disciplinano la materia del licenziamento collettivo. Il ricorso della lavoratrice, anche se rigettato dalla Corte, è stato anch’esso articolato e con spunti di notevole interesse giuridico. La Corte, rigettando il ricorso della lavoratrice, ha ritenuto di doverla condannare al pagamento delle spese processuali a favore del suo ex datore di lavoro (“condanna la lavoratrice alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.”) L’iscrizione a ruolo di una causa in Cassazione costa euro 1.036,00; il doppio contributo di iscrizione a ruolo è pari a euro 2.072,00. Facendo i conti in tasca alla lavoratrice questo ricorso le è costato almeno 10 mila euro che non potrà scaricare dalla sua dichiarazione dei redditi. Non sappiamo quanto percepisse di retribuzione mensile; non è azzardato pensare che al netto la sua retribuzione non fosse superiore a 1.500,00 euro al mese. Questo significa che la sentenza della Corte di Cassazione le è costata quasi 7 mesi di retribuzione. A questo costo bisogna aggiungere il costo dell’avvocato che l’ha assistita. Per essere il soggetto debole del rapporto di lavoro e per di più licenziata, ci sia consentito di osservare, con tutto il rispetto dovuto alla Suprema Corte, e alle sue sentenze, che probabilmente c’è qualche cosa che in questa sentenza non va. Non vogliamo pensare, ma forse pensandolo indoviniamo, che la Corte da qualche anno si sia indotta a usare il pesantissimo martello della condanna dei lavoratori alle spese processuali per scoraggiare fortemente chi intende ricorrervi. Quale migliore sistema per deflazionare il contenzioso giudiziario e ridurre la durata dei processi? Cercare di fare bella figura in Europa con questo escamotage non giova; si rischia di ottenere l’effetto contrario. Scoraggiare i lavoratori per motivi economici di ricorrere all’autorità giudiziaria significa negare i diritti, particolarmente dei soggetti economicamente più deboli, come nel nostro caso. " A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca".

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.