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La sezione lavoro del Tribunale di Roma si divide sul blocco del licenziamento del dirigente nel periodo della pandemia

Nel mese di febbraio 2021 ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro del dirigente, nel mese di aprile ha respinto la medesima domanda di altro dirigente

Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 26 febbraio 2021, ha dichiarato che il dirigente, al pari di tutti gli altri dipendenti, non è licenziabile nel periodo dell’emergenza Covid. Lo stesso Tribunale, ma diverso giudice, con sentenza del 19 aprile 2021 n. 3605, ha dichiarato, invece, che il licenziamento del dirigente per giustificato motivo oggettivo anche nel periodo del Covid è pienamente legittimo. Come si può ben vedere siamo in presenza di opposte e confliggenti sentenze dello stesso Tribunale sullo stesso tema, nel volgere di qualche mese.

Il fatto della controversia è così sintetizzabile: una società con lettera datata 29 aprile 2020, consegnata a mani il successivo 6 maggio 2020, ha intimato il licenziamento ad un suo dirigente a causa del “periodo di grandissima sofferenza economica e finanziaria, acuita dalle drammatiche conseguenze della pandemia Covide-19”. Questa sofferenza ha indotto l’azienda ad avviare un processo di riorganizzazione nell’ottica del contenimento dei costi e di una più utile gestione dell’impresa. In questa riorganizzazione aziendale è stata decisa la soppressione della posizione del dirigente con la redistribuzione delle sue attività tra gli altri responsabili aziendali.

Il dirigente ha impugnato il licenziamento deducendo come primo motivo di nullità il blocco dei licenziamenti previsto dall’articolo 46 del decreto-legge “Cura Italia” numero 18/2020, prorogato più volte, che interesserebbe oltre gli operai, gli impiegati e i quadri anche i dirigenti.

Il Tribunale di Roma, con questa nuova e ultima sentenza, che commentiamo, ha sostenuto che questo divieto non riguarda anche il licenziamento del dirigente. “Il dato letterale della disposizione, in uno con la filosofia che la sorregge, non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco.”

Per questa sentenza del Tribunale di Roma, il decreto “Cura Italia” ha stabilito che il datore di lavoro “indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge numero 604/66, disposizione quest’ultima che pacificamente non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa sia per consolidato principio giurisprudenziale.” L’esclusione del dirigente dal blocco del licenziamento durante la pandemia “è coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia. Il blocco infatti è stato accompagnato da una pressoché generalizzata possibilità per l’azienda, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti”.

Per il Tribunale di Roma vi è un evidente e chiara simmetria tra blocco dei licenziamenti e intervento degli ammortizzatori sociali. Il legislatore con il divieto ha voluto delineare un sistema “sorretto dal binomio divieto di licenziamento/costo del lavoro a carico della collettività”. Ma questo binomio per i dirigenti non è attuabile stante l’impedimento per il dirigente in pendenza del rapporto di lavoro, di poter accedere agli ammortizzatori sociali. Il costo   del dirigente se così non fosse rimarrebbe esclusivamente a carico dell’impresa. Se vi fosse il divieto del licenziamento del dirigente, per il Tribunale, si “potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale della legge tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica”.

Le opposte pronunce del Tribunale di Roma si giustificano, al solito, per la non chiarezza del testo della legge che lascia spazio ad opposte e inconciliabili interpretazioni.

Escludere il dirigente, particolarmente quello non apicale, dalla tutela del blocco appare incoerente con il fine che il legislatore ha voluto perseguire in un momento tanto drammatico perché vive del solo proprio lavoro. Il dirigente non licenziabile, e non in cassa integrazione, in attesa che lo stato di emergenza sanitaria fosse superato, poteva ben essere posto in ferie, oppure sospeso momentaneamente dal lavoro senza diritto alla retribuzione, in tutto o in parte, in attesa dei tempi migliori.

La pandemia non è destinata a durare con la stessa violenza e in modo tale da impedire in assoluto la ripresa delle attività imprenditoriali.

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.