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Il Teatro alla Scala di Milano condannato a risarcire i danni ad una ballerina discriminata nell’attribuzione dei ruoli

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19/05/2021

Il direttore artistico l’aveva particolarmente in odio

Una ballerina, con rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del teatro La Scala di Milano, collocata in quiescenza nel 2013, ha adito il Tribunale di Milano denunciando una serie di comportamenti vessatori posti in essere dalla Fondazione ai suoi danni. La ballerina-dipendente ha lamentato la mancata attribuzione di ruoli importanti (nonostante fosse una professionista il cui talento era stato riconosciuto persino dal Nureyev, che la aveva voluta tra i suoi “pupilli”). Questo comportamento della direzione aziendale aveva ostacolato la sua carriera, togliendole la possibilità di ricoprire la posizione di solista. Praticamente, ha affermato, che dal 34° anno di età le era stata sottratta qualsiasi possibilità di esibirsi sulle punte. A ciò si erano aggiunti comportamenti abbastanza “pesanti” da parte del direttore, che la stessa riteneva, tra l’altro, causa della mancata assegnazione dei ruoli cui aspirava. A causa di tale frustrante trattamento era caduta in una forte depressione psicologica, per cui era in cura dal 2005. In ragione di questo comportamento aziendale, ha chiesto al tribunale il risarcimento dei danni; in particolare ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale alla persona, del danno patrimoniale per perdita di chances, e il danno da mobbing.

Il Tribunale di Milano ha espletata una approfondita istruttoria orale ed una CTU medica. Il tribunale ha ritenuto provati gli atteggiamenti discriminatori lamentati dalla ballerina, pur ammettendo che i criteri di scelta, nello svolgimento del ruolo di ballerina da parte della direzione artistica, fossero discrezionali, (e certo non potesse darsi applicazione a principi di rotazione nella scelta dei ruoli delle varie rappresentazioni); tuttavia dalle testimonianze era emerso che, almeno in vari casi, la ballerina non era stata scelta più per idiosincrasie personali che per problemi di merito artistico. Il tribunale non ha, però, ravvisato in tali comportamenti intenti persecutori e strategia mirata, ossia gli elementi fondanti della fattispecie definita mobbing. Del pari ha anche respinto la domanda risarcitoria relativa alla perdita di chances, per difetto di allegazione e prova così come ha respinto la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno alla salute. Il tribunale ha invece riconosciuto, sempre sulla base delle testimonianze, l’esistenza di danno esistenziale, ossia l’esistenza di un peggioramento della vita di relazione della ballerina-dipendente, conseguente alle problematiche vissute sul luogo di lavoro. Per la quantificazione di questo danno, ha ritenuto di poter procedere equitativamente, prendendo come riferimento le tabelle milanesi relative al danno biologico, segnatamente alla voce inabilità temporanea, nella misura del 10%. Il calcolo ha preso in considerazione tutto il periodo per il quale erano stati provati gli atteggiamenti discriminatori e vessatori del direttore, cioè dal 2005 fino al collocamento in quiescenza, avvenuta nel 2013, giungendo a quantificare la somma dovuta a titolo risarcitorio nell’importo di euro 30.000,00.

Contro la sentenza hanno proposto Appello sia la ballerina che il teatro La Scala. La Corte di Appello di Milano, però, ha accolto, sia pur parzialmente, l’Appello della ballerina relativamente al capo di impugnazione sul mancato riconoscimento del danno alla salute che il tribunale le aveva negato. La Corte di Appello sul danno alla salute ha rilevato che “Non è, in effetti, sostenibile che la sussistenza di un determinato vissuto possa escludere, anche solo in parte, la rilevanza causale di fatti illeciti comprovati (nel caso di specie, gli atteggiamenti discriminatori e vessatori) nel deterioramento dello stato di salute di colui che ne è vittima. Sicuramente ogni persona reagisce ad eventi stressogeni con diverse modalità, riconducibili, anche, al proprio carattere ed alle proprie esperienze; ma questo non è un motivo valido per escludere l’efficacia causale degli eventi stessi su uno stato di malattia, ove ne sia provata sia l’esistenza sia il nesso causale. Per fondare l’eventuale responsabilità è sufficiente, quindi, che la condotta, dolosa o colposa, dell’agente abbia avuto efficacia causale anche solo a livello di concausa, nella produzione dell’evento dannoso… come sottolineato da questa Corte, un evento dannoso è da considerarsi causato sotto il profilo materiale da un altro se, ferme restando le condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo… quando la sua condotta abbia concorso, insieme a circostanze naturali, alla produzione dell’evento, l’agente deve rispondere per l’intero danno, che altrimenti non si sarebbe verificato.

La Corte di Appello di Milano, nella sua motivazione del rigetto dell’Appello contro la sentenza proposta dalla fondazione La Scala ha rimarcato che “È bene subito chiarire che la sussistenza dei comportamenti lamentati, fonte di responsabilità ex art. 2087 cc, che la Fondazione nega, sono in realtà stati adeguatamente provati nel giudizio”. Per la corte La Corte di Appello è stato giudizialmente provato che la dipendente-ballerina è “stata esclusa da vari cast con frequenza effettivamente notevole…”. La Fondazione non ha mai allegato circostanze idonee a giustificare quest’esclusioni lamentate dalla dipendente come, ad esempio, una cattiva forma fisica o un fisico inadatto al particolare ruolo da svolgere così come una qualsiasi carenza nell’espressione artistica o simili. All’epoca anche le organizzazioni sindacali presenti in azienda hanno protestato contro la condotta discriminatrice posta in essere dal direttore coinvolgendo il Sovrintendente che, a sua volta, aveva sollecitato il direttore ad impiegare maggiormente la ballerina. Tutto ciò, però, non ha sortito l’effetto desiderato ma hanno ulteriormente indurito l’atteggiamento del direttore che ha sempre più emarginato la ballerina che avevano osato lamentarsi.

Per la Corte di Appello il Teatro ha posto in essere “una manifesta violazione degli obblighi di correttezza e buona fede che gravano sul datore (irrilevante, come è noto, che i singoli comportamenti siano riferibili direttamente alla figura del “datore”, o a quella dei suoi dipendenti e collaboratori, di cui comunque risponde ex art. 2049 cc)”.

La Corte di Appello stigmatizza il comportamento aziendale ed afferma riferendosi all’azienda che “Si tratta di atteggiamenti molto gravi, che denotano l’esistenza di un ambiente di lavoro malsano ed un totale disinteresse per le ricadute che ciò poteva avere sulla dipendente, che non avrebbe potuto non reagire con sentimento di frustrazione e delusione. Sentimento particolarmente forte, poi, ripetesi, vista la natura dell’attività di cui si discute, e il fatto, non contestato, che all’interessata non difettasse il talento.”

La condotta aziendale ha procurato alla ballerina “uno stato di disturbo dell’adattamento con umore depresso di tipo persistente, di grado medio grave”. La nuova consulenza tecnica d’ufficio espletata dalla Corte di Appello ha quantificato l’inabilità temporanea, protratta per otto anni, nel 15% e postumi invalidanti nella misura tra il 6 e il 10%.

La Corte di Appello, accogliendo l’impugnazione della ballerina ha condannato la fondazione Teatro alla Scala al risarcimento dei danni che ha quantificato nella somma di euro 61.416, oltre gli interessi e la rivalutazione.

Corte di Appello di Milano, sezione Lavoro, Sentenza n 475/2021 del 22 marzo 2021

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.