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L’ AFFIDO CONDIVISO DEI FIGLI, UNO SGUARDO SULLA LEGGE A UN ANNO DALLA RIFORMA


L’affidamento condiviso
, ormai stabilito per legge come ipotesi “ordinaria” di affidamento dei figli nei casi di separazione dei genitori, ha certamente consegnato alla società civile una nuova sfida. 
La legge 8 febbraio 2006, n. 54 nasce da una critica all’affidamento esclusivo o monogenitoriale, che, nel sistema precedente, nonostante l’esistenza di soluzioni alternative, rappresentava la regola generale. Esso comportava - a detta di molti - una radicale riduzione del ruolo genitoriale del non affidatario, anche laddove questi mantenesse un rapporto con il figlio. 

Ma in cosa si sostanzia, nei fatti, il principio della bigenitorialità? Cosa significa affido condiviso? Quali finalità intende perseguire?
La legge prevede espressamente che “il figlio minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere cura, educazione, e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. (art. 155, I comma, c.c.).
Vi è quindi l’espresso riconoscimento di un diritto del minore alla bigenitorialità, che è condizione di regola esistente quando la famiglia è ancora unita, ma che diviene obiettivo spesso assai complesso allorché la famiglia entra in crisi e si sfalda.
La scelta di una forte centralità dei diritti del minore aiuta a comprendere bene i passaggi successivi che la legge prevede: “Per realizzare tale finalità, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”.
“Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della presenza presso ciascuno genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascun genitore deve contribuire al mantenimento alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari a interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.” (art. 155, II comma, c.c.)
In merito al concetto di affidamento ad entrambi i genitori, ossia di affido condiviso, non manca chi, nell’impianto delle nuove norme, ritiene che questo “affidare” assuma un significato metagiuridico e simbolico, evocativo del concetto di fiducia: affidare il figlio a entrambi i genitori significherebbe pertanto riporre fiducia nella possibilità che costoro sappiano condividere quanto necessario per la crescita il più possibile serena del figlio. 
La riforma, in sintesi, si pone come obiettivo la condivisione da parte dei genitori della responsabilità educativa, prendendo atto che il figlio ha bisogno di loro anche e soprattutto dopo una separazione e che ciascuno genitore continua a costituire un punto di riferimento per il figlio. 
L’affidamento ad entrambi i genitori richiede pur sempre che sia indicato il genitore collocatario del figlio: sarà quindi sempre stabilito il luogo di residenza del figlio, in piena coerenza con le esigenze psicologiche e il bisogno del minore di una stabile collocazione.
Per completezza, è importante ricordare che il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori (c.d. affidamento esclusivo o monogenitoriale): questo avverrà qualora egli ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore (art. 155 bis c.c.).
La legge prosegue affermando che “La potestà genitoriale è esercitata da entrambi. Le decisioni di maggior interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute siano assunte (dai genitori) di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo, la decisione è rimessa al giudice”. (art. 155, III comma, c.c.). 
La potestà esercitata da entrambi - anche allorché il giudice dovesse optare per l’affidamento monogenitoriale - costituisce la grande novità giuridica della riforma. In sostanza, anche dopo la separazione, vi è in capo a ciascun genitore il mantenimento della correlazione tra titolarità della potestà e suo esercizio.
Ciascun genitore avrà dunque la possibilità decidere e attuare quanto ritiene giusto per il figlio: un esercizio autonomo (non congiunto) della potestà, ma pur sempre condizionato dalla necessaria condivisione delle direttrici educative e delle decisioni più importanti per il figlio.
Vi è chi ha parlato di un esercizio condiviso della potestà. 
Resta, infine, la possibilità di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla modalità e alla misura del contributo, che può essere chiesta in ogni tempo da ciascun genitore (art. 155 ter).
Milano novembre 2007 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.