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Trasferimento per assistere un figlio disabile: la Cassazione conferma il diritto del lavoratore

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31/05/2024

impossibile negare il trasferimento senza prove concrete

Col figlio handicappato, diritto al trasferimento

Il lavoratore ha chiesto alla Rete Ferroviaria Italiana spa, suo datore di lavoro, di essere trasferito dall’Emilia in Campania  assumendo di essere genitore di un figlio affetto da handicap e che in questa qualità  aveva il diritto a “scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere come previsto dalla legge del 05/02/1992 - N. 104.  L’azienda ha respinto la richiesta. Il lavoratore si è rivolto all’autorità giudiziaria perché gli riconoscesse il diritto.

Il Tribunale prima e la Corte di Appello di Bologna, dopo, hanno accolta la domanda del lavoratore e hanno ordinato al datore di lavoro di trasferire il lavoratore nella sede da lui indicata.

Entrambi i giudici hanno ritenuto che il datore di lavoro non avesse dato prova idonea e rigorosa della sua impossibilità di poter utilizzare il lavoratore nella nuova sede richiesta dal lavoratore, benché l’onere probatorio fosse a suo carico. Le ragioni tecnico-organizzative e produttive del rifiuto del trasferimento dovevano essere di particolare rilevanza, Per i giudici del merito, dai documenti aziendale prodotti nella causa, è emerso che l’azienda, sia in Emilia che in Campania aveva posti vacanti e che in entrambe le regioni li ha coperti procedendo all’assunzione di circa 30 nuovi addetti. Questo nuovo personale era ben riconducibile alla figura professionale del lavoratore che aveva chiesto lo spostamento dall’una all’altra regione. L’azienda avrebbe ben potuto trasferire il lavoratore in Campania per potere assistere il figlio e, in sua sostituzione, assumere nel contempo un lavoratore in più in Emilia omettendo di assumerne un altro in Campania.

L’azienda, nonostante la doppia pronuncia dei due giudici, ha proposto ricorso in Cassazione che è stato respinto. La Cassazione, dirimendo la controversia, innanzitutto, ha sentito l’esigenza di sottolineare il contenuto letterale dell'art. 33, comma 5, della legge 104 del 1992, che disciplina la materia "il lavoratore … (che assiste una persona con disabilità in situazione di gravità) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede".

La  Corte richiamando le sue precedenti pronunce, ha ribadito che “ la disposizione citata va interpretata nel senso che il diritto del lavoratore può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell'assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro, deponendo in tal senso il tenore letterale della norma, in coerenza con la funzione solidaristica della disciplina e con le esigenze di tutela e garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009, sempreché il posto risulti esistente e vacante.

 L'efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, in quanto il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del congiunto con disabilità alle immutate condizioni di assistenza.

È posto a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l'accoglimento delle richieste del lavoratore incaricato di assistere un familiare disabile, spettando al giudice procedere al necessario bilanciamento, imposto dal quadro normativo nazionale e sovranazionale, tra gli interessi e i diritti del lavoratore e del datore di lavoro, ciascuno meritevole di tutela, valorizzando le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore ogni volta che le esigenze tecniche, organizzative e produttive non risultino effettive e comunque insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

La Corte ha ritenuto che l’azienda non ha dato la prova, di cui era onerata, delle ragioni tecnico-organizzative e produttive atte a giustificare il rifiuto al trasferimento del dipendente, sottolineando comele ragioni idonee a giustificare tale rifiuto "devono rivestire particolare intensità e rilevanza …"

Per la Corte il lavoratore, che aveva chiesto il trasferimento, svolgeva mansioni che erano fungibili con centinaia di colleghi e la sua posizione lavorativa poteva essere coperta anche da apprendisti abilitati.

Il ricorso dell’azienda è stato così definitivamente respinto, perché per la Corte di cassazione, l’azienda, in realtà, col suo ricorso in Cassazione non ha lamentato la violazione delle norme di legge bensì la selezione, l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio da parte della Corte di Appello e del Tribunale. Attività però che è preclusa avanti la Corte di Cassazione; particolarmente, come nel caso esaminato, allorché vi è stata una sentenza doppia conforme cioè entrambe le sentenze, quella del Tribunale e quella della Corte di Appello, hanno deciso la controversia nell’identico modo e con la stessa motivazione.

Cassazione civile sez. lav depositata il 02/01/2024 n.47.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.