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I contributi previdenziali devono essere versati sull’indennità sostitutiva del preavviso anche se i lavoratori vi hanno rinunciato

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16/05/2024

 

L’INPS chiede all’azienda il pagamento dei contributi previdenziali dovuti per 26 lavoratori che avevano maturato il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, ma vi avevano rinunciato in sede di conciliazione. I lavoratori, in precedenza, erano stati messi in mobilità con comunicazione dei licenziamenti all’Ufficio territoriale del lavoro, all’esito della procedura di licenziamento collettivo.

La Corte d’Appello di Firenze, riformando la sentenza del Tribunale, ha riconosciuto il diritto dell’INPS a ottenere il versamento dei contributi previdenziali sugli importi dell’indennità sostitutiva del preavviso, non avendo i lavoratori interessati il potere di rinunciarvi. L’azienda, insoddisfatta della decisione della Corte d’Appello, ha proposto ricorso in Cassazione.

L’azienda si è difesa sostenendo che il rapporto di lavoro si era risolto non per licenziamento, ma consensualmente con l’atto di transazione. In considerazione di ciò, non era dovuta l’indennità sostitutiva del preavviso e, di conseguenza, non dovevano essere versati i contributi previdenziali su tale indennità. Questa tesi difensiva non è stata accolta dalla Corte d’Appello, che ha ritenuto che il rapporto di lavoro si fosse risolto per volontà riconducibile all’azienda e non per consenso reciproco delle parti.

Intervenendo sulla controversia, la Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso dell’azienda, affermando che:

“L'obbligo contributivo del datore di lavoro sussiste indipendentemente dal fatto che siano soddisfatti o meno gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi abbia rinunciato ai suoi diritti; pertanto, attesa l'autonomia dei due rapporti, lavorativo e previdenziale, la transazione non spiega effetti nei confronti dell'ente previdenziale che fa valere il credito contributivo.

Questa Corte, in tema, ha già precisato in linea generale che le somme corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in esecuzione di un contratto di transazione non sono dovute in dipendenza del contratto di lavoro, ma del contratto di transazione. Ne consegue che, rimanendo l'obbligazione contributiva insensibile agli effetti della transazione, l'INPS può azionare il credito contributivo provando – con qualsiasi mezzo ed anche in via presuntiva, dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito – quali siano le somme assoggettabili a contribuzione spettanti al lavoratore.

Nel medesimo senso si è detto che la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, giacché alla base del credito dell'ente previdenziale deve essere posta la retribuzione dovuta e non quella corrisposta. L'obbligo contributivo del datore di lavoro, infatti, sussiste indipendentemente dal fatto che siano stati, in tutto o in parte, soddisfatti gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera, ovvero che questi abbia rinunciato ai suoi diritti; pertanto, attesa l'autonomia tra i due rapporti, la transazione suddetta non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l'INPS fa valere il credito contributivo.

Per altro verso, con specifico riferimento all'indennità di preavviso, va ricordato che l'assoggettamento dell'indennità sostitutiva del preavviso alla contribuzione previdenziale consegue alla natura retributiva dell'indennità. È nel momento stesso in cui il licenziamento acquista efficacia che sorge il diritto del lavoratore all'indennità sostitutiva del preavviso e la conseguente obbligazione contributiva su tale indennità. Se poi, successivamente, il lavoratore licenziato rinuncia al diritto all'indennità, tale rinuncia non potrà avere alcun effetto sull'obbligazione pubblicistica, preesistente alla rinuncia e ad essa indifferente, perché il negozio abdicativo proviene da un soggetto (il lavoratore) diverso dal titolare (INPS).

Con l'intimazione del licenziamento, l'indennità sostitutiva del preavviso rientra nel novero di «tutto ciò che ha diritto di ricevere» il lavoratore e viene attratta, per il suo intrinseco valore retributivo, nel rapporto assicurativo, autonomo e distinto, completamente insensibile, per quanto detto, all'effettiva erogazione e, dunque, all'argomento difensivo dell’essere o meno entrata nel patrimonio del lavoratore.

Può dunque affermarsi che, attesa l'autonomia del rapporto di lavoro rispetto a quello previdenziale, nel caso in cui il lavoratore licenziato rinunci in via conciliativa al diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, quand'anche la conciliazione abbia carattere novativo, tale rinuncia non incide in alcun modo né sulle modalità di cessazione del rapporto rilevanti ai fini previdenziali (essendo queste ricollegabili al recesso datoriale) né – anche per l'indisponibilità, in ogni caso, dell'obbligazione contributiva – sull'obbligo che il datore di lavoro ha verso l'INPS, soggetto terzo rispetto all'intervenuta conciliazione, per il pagamento dei contributi previdenziali sull'indennità sostitutiva del preavviso.”

Cass. civ., sez. lav., ordinanza, 5 gennaio 2024, n. 395.


 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.