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Licenziamento illegittimo se il lavoratore rifiuta la modifica dell’orario di lavoro part-time

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10/02/2024

La Corte d'Appello di Cagliari ha rigettato l'Appello proposto da una lavoratrice contro la sentenza del Tribunale che aveva respinto la suadomanda di impugnazione del licenziamento intimatole per giustificato motivo oggettivo a seguito del rifiuto di accettare la modifica della collocazione dell'orario di lavoro part-time propostole dalla datrice di lavoro.

L’azienda nell’intimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha invocato le sue esigenze organizzative e la necessità di dover variare l'orario di lavoro sostenendo che la distribuzione dell'orario a part-time precedente non fosse più compatibile con le nuove esigenze aziendali e che la prestazione lavorativa con il precedente orario risultava non più utilmente impiegabile.

La lavoratrice contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, che è stato accolto, perché la sentenza è stata ritenuta in contrasto con le norme di legge e collettive per plurimi profili giuridici.

Per la Cassazione, in materia di lavoro part-time dalla complessiva regolamentazione prevista dalla normativa che disciplina la materia, si evince una comune e generale ratio legis nel senso che qualunque mutamento dell'orario di lavoro già concordato formalmente tra le parti -sia il passaggio da part-time a full time o viceversa, sia una variazione della fascia oraria del part-time o l'introduzione di una clausola elastica o flessibile o la richiesta di lavoro supplementare - presuppone l'accordo tra le parti e, dunque, il consenso del lavoratore.Il rifiuto del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Sulla scorta di questa disciplina deve coerentemente affermarsi che “analogo divieto valga anche, a fortiori, per la proposta di diversa distribuzione totale dell'orario di lavoro. Dal momento che sarebbe irragionevole ipotizzare il contrario, ovvero che sia protetto il rifiuto alla stipula di una clausola flessibile, elastica o alla richiesta di lavoro supplementare e non lo sia invece quello che concerne la variazione totale dell'orario di lavoro part time.

Come prevede, peraltro, oggi, in continuità con questa tesi, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 6, comma 8 secondo il quale "il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell'orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento".

Affermati questi principi che disciplinano l’orario di lavoro part-time, per la Cassazione “ le esigenze organizzative che sottostanno alla richiesta di variazione dell'orario non possono rilevare, di per sé, come ragione oggettiva - esclusiva ed autosufficiente - di licenziamento, perché questo significherebbe cancellare di fatto la protezione legale che consente al lavoratore di opporre un legittimo rifiuto alla proposta datoriale di cambiamento dell'orario di lavoro, rifiuto che non può trasformarsi - con aperta contraddizione della normativa - in automatico presupposto del suo licenziamento.

D'altra parte, nemmeno può essere precluso al datore di lavoro l'esercizio del recesso quando il rifiuto alla proposta di trasformazione entri in contrasto con le ragioni di carattere organizzativo che, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3 possono integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento; in questo caso, tuttavia, il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare non solo la sussistenza delle esigenze economico-organizzative, in base alle quali la prestazione oraria precedente non può essere più mantenuta, nonché il nesso causale tra le predette esigenze e il licenziamento; dovendo egli altresì dimostrare che non esistano ulteriori soluzioni occupazionali (o altre alternative orarie) rispetto a quelle prospettate al lavoratore e poste alla base del licenziamento. Occorre, cioè in sintonia con la stessa nozione generale di giustificato motivo oggettivo, che sussista altresì l'impossibilità di un ripescaggio aliunde che deve essere dimostrato in giudizio dal datore di lavoro, la cui condotta - al pari di quella del lavoratore - deve comunque essere improntata e, dunque, valutata alla luce delle clausole generali di correttezza e buona fede, le quali possono costituire utile parametro per un controllo sulla discrezionalità gestionale del datore di lavoro. In particolare, in un'area, quale quella del part time, sottoposta ad una rigorosa regolamentazione normativa, la scelta datoriale deve tener conto delle particolari esigenze sociali che sono a fondamento della stessa.”

Per la Cassazione, “nel caso di rifiuto della trasformazione del rapporto da full time a part time il dipendente può essere legittimamente licenziato solo se il recesso non è stato intimato a causa del diniego opposto, ma in ragione dell'impossibilità di utilizzo della prestazione a tempo pieno per effettive ragioni economiche dimostrate dal datore di lavoro.E' necessaria dunque non solo la prova dell'effettività delle ragioni addotte per il cambiamento dell'orario ma anche quella della impossibilità di un utilizzo altrimenti della prestazione, con modalità orarie differenti, quale componente/elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.”

La Cassazione ha concluso così affermando che “Quando il licenziamento del lavoratore part time venga intimato per una ragione tecnica organizzativa diversa da quella della variazione dell'orario di lavoro vale ovviamente la nozione generale del giustificato motivo oggettivo, per come elaborata dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte”.

Venendo ora al caso specifico sottoposto al suo esame, per la Cassazione la sentenza della corte di Appello doveva essere riformata perché “nulla si dice nella sentenza impugnata in ordine al fatto che, oltre a non potersi mantenere lo schema dell'orario precedente, non esistesse un altro orario diverso che potesse essere offerto come alternativa al licenziamento. “Cassazione civile sez. lav. sentenza del 30/10/2023, n. 30093 .

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.