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Borse e bagagli dei lavoratori liberamente perquisibili non godono delle guarentigie previste dall'art. 6 dello statuto dei lavoratori

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16/10/2023

Un operaio è stato licenziato per giusta causa per “aver condotto all’esterno dello stabilimento materiale di proprietà della società, nello specifico una notevole quantità di bustine di un medicinale in forma di granulato ".  In particolare, è stato contestato al lavoratore che al termine del suo turno di lavoro, si approssimava al badge nel tornello posto all’uscita dello stabilimento in possesso di una busta di plastica di quelle in genere utilizzate per la raccolta dei rifiuti.

Su richiesta di un responsabile del datore di lavoro di indicare e far vedere cosa contenesse la predetta busta, l'operaio ne mostrava il contenuto costituito da circa 130 confezioni singole di un medicinale in forma di granulato e con nome commerciale Brufen.  Le confezioni venivano trattenute dal personale dell'azienda.

Tra le varie eccezioni difensive proposte dal lavoratore sia in Tribunale che in Corte d'Appello contro il licenziamento vi è stata l'illegittimità dell'ispezione della busta contenente le bustine del medicinale. In particolare, il lavoratore ha sostenuto che l'azienda non aveva la facoltà di ispezionare la busta essendo un effetto personale non ispezionabile per esigenze di tutela della riservatezza e di intimità della persona.

 La Corte di Appello di Roma ha rigettato questa eccezione difensiva richiamando l'orientamento della Corte di Cassazione che sul tema ha affermato che "Quanto all'ambito di applicazione della L. n. 300 del 1970, art.6, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 1461/88) che l'art. 6 cit. - nel prevedere i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore - riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata - da interpretarsi letteralmente - contempla solo la "visita personale", che nell'ordinamento processuale sia civile (art.118 c.p.c.) che penale (artt. 244-246 c.p.p.) è tenuta distinta dall'ispezione di cose e luoghi …”.

La Corte di Appello di Roma ha così condiviso l’interpretazione della norma data dal Tribunale confermando la sentenza: “l'estensione agli accessori (definiti dal ricorrente diretta pertinenza della persona) del divieto ex art. 6 S.L. non è condivisa dalla prevalente giurisprudenza che legge le "visite personali" come distinte dall'ispezione dei luoghi e cose. "Il disposto dell'art. 6 dello statuto dei lavoratori - che prevede i casi in cui sono consentite, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, le visite personali di controllo sul lavoratore - riguarda unicamente le ispezioni corporali, ma non anche quelle sulle cose del lavoratore, atteso che la norma citata - da interpretarsi letteralmente - prevede solo la "visita personale" che nell'ordinamento processuale sia civile (artt. 118 e 258 cod. proc. civ.) che penale (art. 309 cod. proc. pen.) è tenuta distinta dall'ispezione di cose e luoghi. (nella specie la suprema Corte ha cassato la pronuncia del giudice del merito che - in un giudizio avente ad oggetto la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore per essersi illecitamente appropriato di beni dell’azienda - aveva ritenuto che violasse il disposto dell'art. 6 cit. un'ispezione eseguita dal datore di lavoro sulla borsa personale del lavoratore. Ne consegue che l'accordo sindacale è necessario per stabilire le regole per perquisire la persona del dipendente non i suoi effetti personali come borse o bagaglio in genere, poiché solo nel primo caso sussistono le prevalenti esigenze di tutela della riservatezza ed intimità della persona.

"L'accordo tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali o la commissione interna, che, ai sensi del terzo comma dell'art. 6 della L. n. 300 del 1970, determina le ipotesi in cui - secondo l'eccezionale previsione del primo comma dell'articolo citato e in deroga al generale divieto stabilito da questa stessa disposizione - possono essere disposte, ai fini della tutela del patrimonio aziendale, visite personali di controllo sui lavoratori nonché le modalità delle medesime, è soggetto (al pari del provvedimento dell'ispettorato del lavoro, da adottare in mancanza dell'accordo predetto) al controllo del giudice per quanto concerne sia l'effettiva sussistenza del requisito dell'indispensabilità delle visite sia l'osservanza o meno dei limiti imposti dalla necessità del rispetto della "privatezza".

Rapportando questo principio ermeneutico alla fattispecie dedotta in giudizio deve concludersi per l’inapplicabilità dell’art. 6 st. lav. anche alla ispezione della busta trasportata dal lavoratore, con conseguente legittimità dell’operato datoriale, specie ove si consideri che le modalità di esecuzione della predetta ‘ispezione’ sono state caratterizzate, pacificamente, dall’assenza di qualsiasi invasività. (Corte di Appello di Roma sezione lavoro sentenza numero 2307 pubblicata il 24 maggio 2022).

La Corte di Appello di Roma con la sentenza richiamata non ha condiviso il contrario parere del Ministero del lavoro espresso nella circolare n.20.542 del 2016 che ha ricondotto nell’alveo delle visite personali anche gli ‘accessori’ dei singoli lavoratori, con conseguente estensione delle relative guarentigie procedimentali previsti dall'articolo 6 dello statuto dei lavoratori.

Anche la Corte di Appello di Milano (sentenza n. 1083 pubblicata il 30 agosto 2021) segue il medesimo indirizzo giurisprudenziale della Corte di Appello di Roma affermando la legittimità dei controlli difensivi del patrimonio aziendale sul contenuto delle borse e degli effetti personali del lavoratore. Le garanzie dell’art. 6 dello Statuto si applicano solo alle perquisizioni corporali, sulla persona del lavoratore. Riteniamo che il divieto si estenda ai vestiti che il lavoratore indossa (tasche di pantaloni, giacche, cappotti etc).

13 luglio 2023

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.