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Alla disposizione aziendale illegittima, il dipendente non ha l’obbligo di obbedire

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18/07/2023

Il dipendente ha reso la sua prestazione lavorativa subordinata dall'1/6/2012 al 27/10/2014, data in cui è stato licenziato per pretesa impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, a seguito di una visita del medico aziendale competente che lo aveva dichiarato idoneo allo svolgimento delle mansioni ma con limitazioni.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento ed ha ottenuto l’ordinanza di reintegrazione e la non avendo il datore di lavoro fornito la prova dell'impossibilità di collocarlo in altre attività; con la reintegrazione nel posto di lavoro, il dipendente ha anche ottenuto il pagamento dell’indennitàrisarcitoria nella misura di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, nonché il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione.

Dopo la pronuncia della sentenza, che ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro, l’azienda con un nuovo ordine di servizio, ha stabilito le modalità della reintegrazione, prevedendo un orario a tempo parziale (verticale ed orizzontale, a seconda dei periodi dell'anno) e mansioni di addetto allo spazzamento manuale con carretto e alla raccolta porta a porta di umido, plastica o cartoni dalle utenze domestiche.

Il dipendente non si è presentato in azienda per riprendere l’attività lavorativa, perché l'ordine di servizio dell’azienda non lo reintegrava esattamente nel posto di lavoro in precedenza ricoperto e non lo reintegrava a tempo pieno, così come avveniva prima di essere ingiustamente licenziato. Il dipendente, nel rispetto della sentenza pronunciata a suo favore, ha rivendicato il diritto di continuare a prestare la sua attività lavorativa nello stesso luogo, a tempo pieno e con le mansioni in precedenza svolte. Di fronte all’inadempimento dell’azienda, che aveva modificato unilateralmente il lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il dipendente ha rifiutato di prestare la sua attività lavorativa, pretendendo il ripristino delle vecchie e precedenti condizioni di lavoro. Espresso il rifiuto, non si è più presentato al lavoro.

L’azienda ha rigettato questa giustificazione e considerata l’assenza che, a suo dire, era ingiustificata, dopo averglielo contestato formalmente, lo ha licenziato per la seconda volta ma pergiusta causa.

La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale, ha dichiarato sussistenteil diritto del lavoratore ad avvalersi contro l’azienda dell'eccezione di inadempimento, per la nullità della pretesa aziendale di ripristinare il rapporto in una forma contrattuale non concordata dalle parti e con violazione dell’ordinedi reintegrazione. Sebbene la società avesse correttamente adibito il lavoratore a mansioni compatibili con le limitazioni rilevate da parte delle competenti strutture sanitarie, tuttavia essa non poteva, al momento della reintegrazione, disporre unilateralmente la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno, precedentemente in essere, a tempo parziale, in quanto la normativa in materia impone l'accordo del lavoratore e la forma scritta per detta trasformazione.

L’azienda ha proposto ricorso per Cassazione al quale ha resistito il lavoratore.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda, perché “ La Corte d'Appello si è conformata (richiamandola espressamente) alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia, che ha precisato quando ricorre l'inadempimento del datore di lavoro rispetto all'ordine di reintegrazione, e quando si deve considerare legittima l'eccezione di inadempimento del lavoratore consistente nel non presentarsi a lavoro, nel senso che l'ottemperanza del datore di lavoro all'ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell'attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, altrimenti configurandosi (salvo sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive) una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c., sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti.”

La Cassazione non ha ritenuto degna di rilevanza la circostanza che il mancato adempimento dell’ordine di reintegrazione, così come disposto dal giudice sarebbe stato adottato dall’azienda al fine di tutelare la salute del dipendente perché “Non risulta dagli atti una specifica indicazione sanitaria di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, che invece è stata frutto di un'interpretazione datoriale di accertamenti sanitari riguardanti limitazioni funzionali. Nè sono rilevanti le valutazioni sulle caratteristiche del clima di Tivoli al di fuori di un contesto medico tecnico. La questione in diritto, esattamente individuata dalla Corte distrettuale, è l'unilaterale trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, vietata dalla normativa in assenza di accordo delle parti risultante da atto scritto”.

Per la Cassazione “ Dal complesso della normativa e dalla giurisprudenza richiamata con riferimento al primo motivo, in rapporto alla fattispecie concreta, si ricava il principio di diritto da applicare al caso in esame, secondo cui costituisce inadempimento all'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, cui il lavoratore può opporre eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c., la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, senza accordo del lavoratore e senza pattuizione in forma scritta.”

Per la Cassazione bene ha operato la Corte di Appello allorché haritenuto insussistente il fatto posto a fondamento del licenziamento per giusta causa, ossia il rifiuto di presentarsi in servizio perché “ in tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b), comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (Cass. n. 3655/2019). Nello specifico, come spiegato da Cass. n. 19579/2019, in tema di licenziamento disciplinare, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall'accertata illegittimità dell'ordine datoriale e dia luogo pertanto a una legittima eccezione d'inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo del carattere dell'illiceità, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria attenuata, prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012.” Corte di Cassazione sentenza 5 giugno 2023 numero 15.676.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.