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Subentro nell’appalto, cessione di azienda se l’organizzazione resta la stessa

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15/04/2023

Prestano la loro attività lavorativa presso il Politecnico di Milano nell'appalto dei servizi di reception e portineria. L'appalto negli anni passa di mano in mano per quattro volte a diverse imprese appaltatrici; in occasione dell'ultimo passaggio, il nuovo datore di lavoro li inquadra in un livello inferiore erogando un peggiorativo trattamento economico e normativo rispetto al precedente datore di lavoro che aveva cessato l'appalto.

Alcuni lavoratori destinatari di questo trattamento inferiore, si sono rivolti al tribunale di Milano rivendicando il diritto "a vedersi applicate le condizioni di lavoro già in essere con i precedenti datori di lavoro, anche in termini di inquadramento e retribuzione". A sostegno di questa domanda hanno assunto "che il loro rapporto di lavoro fosse proseguito alle dipendenze della società predetta, senza soluzione di continuità, ex art. 2112 c.c.". Questo articolo del codice civile prevede il diritto delle maestranze a conservare inalterato il trattamento nel caso in cui passino alle dipendenze di altra impresa in conseguenza di una cessione di azienda o di ramo di essa.

La società appaltatrice, nuovo datore di lavoro e autrice del trattamento peggiorativo, si è opposta alle domande dei lavoratori sostenendo "l’insussistenza di un trasferimento d’azienda, evidenziata dalla differenza sia sul piano organizzativo che su quello della gestione del lavoro con le precedenti datrici di lavoro".

Il nuovo datore di lavoro, per sostenere l'insussistenza di un qualsiasi trasferimento di azienda, ha dedotto a sostegno di questa tesi le differenze organizzative con il precedente datore di lavoro: nuova definizione di aree, modifica della frequenza, delle modalità di esecuzione dei servizi di pulizia, diversa organizzazione dei turni, minore rilevanza delle attività di portierato e di supporto agli immobili, introduzione di attività riconducibili alla sorveglianza fiduciaria, adibizione dei lavoratori a rotazione in tutti gli edifici (anziché nella medesima postazione), attribuzione di mansioni aggiuntive di sorveglianza e custodia.

Il tribunale di Milano non ha ritenuto sufficienti questi elementi per escludere che fosse avvenuto il passaggio dell'azienda dall'una all'altra impresa perché non vi è stata "la dotazione di ulteriori beni strumentali, né competenze ulteriori e diverse da quelle già possedute dal personale in quanto addetti alla portineria." Il trasferimento di un ramo di azienda può realizzarsi anche per effetto del solo trasferimento di lavoratori, i quali per le specifiche competenze possedute ed esperienze acquisite, sono ritenuti indispensabili e sufficienti per lo svolgimento del servizio appaltato".

Ritenuto sussistente il trasferimento di azienda il tribunale ha riconosciuto che i lavoratori dovevano mantenere inalterato il precedente trattamento economico e normativo goduto alle dipendenze della impresa appaltatrice cessante (stesso ccnl, stesso inquadramento, stessa quantità oraria dei contratti a part time).

La società ha proposto appello contro la sentenza anche se nelle more aveva raggiunto un accordo transattivo con i lavoratori che così non si sono costituiti nella causa di appello.

La Corte di appello ha riformato la sentenza del tribunale affermando i seguenti principi:

-la mera circostanza che i servizi prestati dal precedente e dal nuovo appaltatore siano analoghi non consente di concludere nel senso che sussista il trasferimento di un’entità economica, non potendosi ridurre l’entità economica trasferita all’attività oggetto del contratto di appalto,  

-l’attuale formulazione dell’art. 29 D. Lgs. 276/2003, così come modificato dalla legge n. 122/2016, dispone che “L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”,

-nella successione dei contratti di appalto si ha cessione di azienda solo se vi è "la conservazione dell'identica entità economica organizzata oggetto della cessione";

-solo se tra la precedente organizzazione produttiva e quella nuova non vi è discontinuità si potrà avere la cessione di azienda con l’applicazione dell’articolo 2112 del codice civile.

-Per poter decidere 6 cessione o meno la cessione di 1 azienda o di un ramo di essa, occorre far riferimento non al servizio da rendere ma alla organizzazione con la quale il servizio oggetto del contratto di appalto dovrà essere reso.

Per la Corte di appello di Milano "La presenza o assenza di modifiche delle metodologie organizzative nuove e diverse introdotte dall’impresa subentrante rispetto alle imprese cessanti è, dunque, presupposto necessario e indispensabile ai fini della valutazione sulla sussistenza o meno di un trasferimento di ramo di azienda."

Nel caso sottoposto all’esame della Corte, non vi è cessione di azienda perché la nuova impresa subentrante con il progetto tecnico di gara ha introdotto "un diverso modello organizzativo, secondo le proprie metodologie, modificando in modo sostanziale le modalità di svolgimento del servizio e l’organizzazione dello stesso." Corte di appello di Milano sez. lavoro, Sentenza n. 957/22 pubbl. il 05/12/2022.

Tra le eccezioni difensive dell’azienda vi era anche quella relativa alla ripartizione dell’onere probatorio l’azienda ha sostenuto che questo onere conviveva sui lavoratori che dovevano provare l’esistenza della medesima organizzazione del lavoro. Ma imporre l’onere al lavoratore, che istituzionalmente non ha conoscenza dell’organizzazione generale del servizio da rendere e non ha conoscenza nemmeno del contratto di appalto che è stato concluso tra le imprese, non corrisponde ai principi del nostro ordinamento sulla ripartizione di questo onere. Deve essere l’impresa a provare la sua diversa organizzazione del lavoro rispetto al periodo antecedente per evitare la successione nella titolarità dell’impresa; l’impresa è istituzionalmente il soggetto che è a conoscenza di tutti gli elementi in fatto della sua organizzazione del lavoro. Se non fosse così il lavoratore verrebbe ad essere gravato di un onere difficile da assolvere.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.