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La Corte costituzionale chiede al Parlamento più tutele per il lavoratore della piccola impresa ingiustamente licenziato

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18/10/2022

L'attuale risarcimento da 3 a 6 mensilità della retribuzione non è adeguato

Il lavoratore alle dipendenze dell'azienda che occupa fino a 16 dipendenti gode della semplice stabilità obbligatoria del posto di lavoro. Se licenziato illegittimamente ha diritto, con li Jobs act del 2015, al solo risarcimento dei danni che va da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mensilità. Per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, invece, l'obbligo risarcitorio va da un minimo di 6 ad un massimo di 36 mensilità. Per questa tipologia di lavoratori non vi è la previsione del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo o il licenziamento per giusta causa sia stato dichiarato illegittimo.

Il Tribunale di Roma sezione lavoro ha sollevato la questione di legittimità costituzionale su questa disparità di trattamento che si realizza con il limite risarcitorio non superabile delle 6 mensilità di retribuzione, senza più la ricostituzione del rapporto di lavoro.

Per il Tribunale di Roma questa indennità che va individuata "nello stretto varco risultante fra il minimo di 3 e il massimo di 6 mensilità si presenta inadeguata e insufficiente perché non è idonea a dissuadere datore di lavoro dal ricorrere al licenziamento ingiustificato. Per il Tribunale di Roma la norma sarebbe in contrasto con la costituzione e con la Carta sociale europea. Il Tribunale di Roma ha ritenuto che "la tutela del diritto al lavoro … potrebbe essere anche affidata a un meccanismo monetario, a condizione che sia garantita la complessiva adeguatezza del risarcimento". La previsione di un indennizzo, non superiore alle 6 mensilità e senza neppure l'alternativa della riassunzione, non attua in realtà un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto. La norma così come concepita dalla legge attuale non garantisce "un’equilibrata compensazione e un adeguato ristoro del pregiudizio e non svolgerebbe la necessaria funzione deterrente".

La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha affermato che "la modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi è demandata all'apprezzamento discrezionale del legislatore, vincolato al rispetto del principio di eguaglianza, che vieta di omologare azioni eterogenee e di trascurare la specificità del caso concreto”; per la Corte, inoltre, "un organico sistema di tutele si incentra sul principio di ragionevolezza ... Nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialità dell'apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro". Queste esigenze di effettività e di adeguatezza della tutela si impongono anche per i licenziamenti intimati dal datore di lavoro di più piccole dimensioni.

L'esclusione della tutela reintegratoria nel posto di lavoro per il datore di lavoro più piccolo si giustifica, per la Corte, con la "natura fiduciaria del rapporto di lavoro, sull'opportunità di non gravare le piccole imprese di oneri eccessivi e sulle tensioni che l'esecuzione di un ordine di reintegrazione potrebbe ingenerare.

Fatte queste premesse, la Corte costituzionale afferma che "in un sistema imperniato sulla portata tendenzialmente generale della tutela monetaria, la specificità delle piccole realtà organizzative, che pure permane nell'attuale sistema economico, non può giustificare un sacrificio sproporzionato del diritto del lavoratore di conseguire un congruo ristoro del pregiudizio sofferto".

Per la Corte costituzionale l'attuale sistema risarcitorio previsto dal Jobs act "non attua quell'equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria, efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi".

La Corte costituzionale, però, ha affermato di non essere in grado per le sue funzioni di porre rimedio a questo vulnus perché non spetta ad essa scegliere, tra i molteplici criteri che si possono ipotizzare come appropriati per tutelare i lavoratori delle piccole imprese. È compito del legislatore "la scelta dei mezzi più congrui per conseguire un fine costituzionalmente necessario, nel contesto di una normativa di importanza essenziale, per la sua connessione con i diritti che riguardano la persona del lavoratore, scelta che proietta i suoi effetti sul sistema economico complessivamente inteso".

La Corte ha così dichiarato l'inammissibilità della questione costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma ma ha ammonito il Parlamento "che un ulteriore protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente” nonostante la consapevolezza delle difficoltà cui andrebbe incontro nell’attuale sistema costituzionale. (Corte costituzionale, Sentenza numero 183/2022 depositata il 22 luglio 2022.)

Adesso spetta al nuovo Parlamento raccogliere l'invito della Corte costituzionale introducendo nel nostro sistema giuridico una più adeguata tutela, anche se solo economica, del dipendente della piccola impresa che sicuramente deve essere migliorativa e superiore al limite attuale che attualmente va da un minimo di 3 ad un massimo di 6 mensilità.

Il redattore della sentenza è il giudice Silvana Sciarra che in questi giorni è stata eletta presidente della Consulta in sostituzione dell'uscente Giuliano Amato, per scadenza del mandato.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.