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L’Alitalia definitivamente assolta dall’obbligo di riassumere i lavoratori

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10/08/2022

Non hanno provato di possedere i requisiti previsti dall’accordo sindacale

Alcuni lavoratori, già impiegati alle dipendenze di Alitalia in amministrazione straordinaria e di Air One, hanno chiesto al Tribunale di Roma la loro assunzione alle dipendenze di Alitalia-Compagnia Aerea Italiana S.p.A. invocando a sostegno di questa domanda l'accordo sindacale del 30/31 ottobre 2008. Quest'accordo prevedeva l'assunzione da parte di Alitalia-Compagnia Aerea Italiana S.p.A. di 12.500 risorse umane già in precedenza occupate alle dipendenze di Alitalia in amministrazione straordinaria e di Air One.

I lavoratori hanno lamentato la violazione da parte dell’Alitalia-Compagnia Aerea Italiana S.p.A. dei criteri che dovevano essere adottati per la selezione del personale da assumere. Gli accordi sindacali avevano individuato due gruppi di criteri: il primo (lett. A) dava prevalenza alle "esigenze organizzative in coerenza con il nuovo piano industriale", precisando che sarebbero stati "considerati i profili professionali che le risorse dovranno possedere (categoria, qualifica) in base ai perimetri organizzativi sopra individuati" e che "il fabbisogno occupazione di CAI presso ciascuna sede base di impiego sarà allocato secondo la tabella allegata"; il secondo gruppo (lett. B), sotto ordinato al primo, prevedeva criteri di selezione soggettivi, da applicare nell'ordine di elencazione, ed esattamente: il possesso di abilitazioni/certificazioni, la localizzazione (intesa come domicilio/dimora/residenza del personale rispetto alla sede base di destinazione), l'anzianità aziendale, i carichi familiari."

Il Tribunale e la Corte di Appello di Roma hanno rigettato la domanda dei lavoratori affermando preliminarmente che l'accordo sindacale invocato era da qualificarsi come "contratto a favore di terzi". L'individuazione dei beneficiari del diritto all'assunzione era rimessa all'espletamento di una procedura selettiva. Era onere dei lavoratori, terzi estranei all'accordo, dimostrare il possesso dei requisiti condizionanti la loro assunzione da parte del nuovo soggetto giuridico. I lavoratori, per i giudici di merito, non hanno assolto, in sede giudiziaria, l'onere posto a loro carico di dare la prova di questo possesso che condizionava l'acquisizione della qualità "di terzi beneficiari".

I lavoratori hanno reagito a questa pronuncia negativa impugnando la sentenza avanti la Corte di Cassazione, con un corposo ricorso fatto di ben 20 motivi di doglianza.

La Corte di Cassazione, però, ha confermato la precedente sentenza della Corte di Appello.

La Cassazione ha così motivato la sua decisione: " Secondo la giurisprudenza di questa S.C., richiamata dai giudici di appello, l'accordo, avente ad oggetto la ricollocazione del personale interessato dalla cessazione dell'attività di una delle due imprese e contenente l'impegno della subentrante ad assumere alle sue dipendenze una determinata percentuale dei dipendenti messi in mobilità, va qualificato contratto a favore di terzi, che fa sorgere in capo ai beneficiari, se individuati o individuabili, un diritto da opporre alla impresa promittente (Cass. 26.6.2009 n. 15073). Da detta qualificazione discende che, qualora l'accordo non indichi nominativamente i dipendenti da assumere ma si limiti a stabilire i criteri per la individuazione dei lavoratori che dovranno transitare alle dipendenze dell'imprenditore subentrante, il titolo della pretesa che il singolo lavoratore fa valere nei confronti di quest'ultimo non è costituito solo dall'accordo collettivo, ma anche dal possesso dei requisiti stabiliti dalle parti contraenti per la individuazione dei terzi beneficiari (v. Cass. n. 2523 del 2016, non massimata). E' quindi onere del lavoratore che agisca in giudizio per rivendicare il diritto all'assunzione, dimostrare che sulla base dei criteri indicati nell'accordo la scelta doveva ricadere sulla sua persona.".

La Cassazione ha rilevato che la Corte di Appello "ha negato il diritto dei ricorrenti all'assunzione sul rilievo che gli stessi non avessero allegato e provato il possesso dei requisiti necessari a soddisfare i criteri selettivi, oggettivi e soggettivi, elencati nell'accordo sindacale....I ricorrenti hanno criticato l'interpretazione data dai giudici di appello all'accordo sindacale ed hanno sostenuto che tale accordo prevedesse un obbligo inderogabile di Alitalia di assumere 1689 piloti quali che fossero state le esigenze organizzative coerenti con il piano industriale ".

Fatta questa premessa, la Cassazione ha concluso che "l'interpretazione degli atti negoziali implica un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che, come tale, può essere denunciato in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale."

 Ma, nel caso in esame, per la Cassazione "i ricorrenti si sono limitati a contrapporre alla lettura data dai giudici di appello una letturaalternativa dell'accordo sindacale, senza neanche spiegarne la compatibilità con il dato letterale su cui, in via esclusiva, hanno fondato le loro critiche".

La Cassazione ha, così, rigettato il ricorso dei lavoratori perché ha ritenuto inammissibili i loro motivi di lagnanza che si sono basati su una diversa e semplice lettura dell'accordo sindacale data dalla Corte di Appello.

I lavoratori con il ricorso non hanno invocato alcun errore della Corte di appello nell'applicazione dei criteri interpretativi del contratto. Questi criteri sono quelli fissati dal Codice civile che vanno dall'art. 1362 all'art. 1371. Ad essere denunciati come violati, avanti la Cassazione, doveva essere la violazione di questi criteri e non la diversa lettura e l'interpretazione finale del contratto a favore di terzi, data dai giudici di merito.

Confermata l'interpretazione dell'accordo sindacale, che ne ha dato la Corte di appello, e non avendo i lavoratori nel loro atto di impugnazione lamentato la violazione delle regole di legge da rispettare nell’interpretazione del contratto, il ricorso in Cassazione è stato respinto con condanna dei lavoratori al pagamento delle spese processuali a favore della datrice di lavoro.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.