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Obbligo contributivo per intero; anche se nell’appalto il lavoratore ha lavorato parzialmente

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14/02/2022

Sanzionata duramente l’impresa appaltante: condannata a pagare i contributi previdenziali anche per i giorni non lavorati nel suo appalto ma presso altri soggetti

In materia di appalto l’articolo 29 del decreto legislativo n. 276/2003 (legge Biagi) prevede che: “il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”.

Con ricorso per decreto ingiuntivo, l’Inps ha chiesto al Tribunale di Milano il pagamento delle somme dovute ad un'impresa appaltante, in qualità di responsabile solidale, ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 276/2003, per i contributi evasi dalla società appaltatrice dei servizi. L’impresa appaltante proponeva opposizione al decreto ingiuntivo. L’Inps, in corso di causa, ha ridotto le sue pretese economiche e ha limitato le sue richieste a quelle del cosiddetto “minimale contributivo”. Il Tribunale nella totalità ha riconosciuto questo obbligo contributivo dell’appaltante.

Contro la sentenza ha proposto appello l’appaltante deducendone la erroneità perché la cooperativa appaltatrice, all’epoca, aveva anche un altro appalto per le pulizie con altra società terza, dove gli stessi lavoratori avevano prestato la loro opera. Nella sua impugnazione l’appellante ha sostenuto che i dipendenti dell’impresa appaltatrice “avevano diritto ad ottenere il pagamento dei contributi omessi dal proprio datore di lavoro ma, detti contributi dovevano essere sopportati da tutte le società appaltanti a favore delle quali i dipendenti avevano prestato la loro attività lavorativa. Non si comprende per quale motivo giuridico una e una sola società debba essere tenuta a pagare i contributi per prestazioni rese in favore anche di altre società... La responsabilità ex art. 29 riguarda solo i crediti maturati nel periodo di durata del contratto di appalto e in ragione della prestazione resa per la realizzazione dell’opera e dei servizi commissionati”.

La Corte di Appello di Milano ha rigettato il ricorso dell'impresa appaltante rilevando l’esistenza nel nostro ordinamento del “fondamentale principio della commisurazione dell'obbligazione contributiva, autonoma rispetto a quella retributiva, ispirata a criteri predeterminati per legge” (Sentenza n. 472/2021 pubbl. il 18/06/2021).

 La Corte di Appello di Milano, motivando questo suo indirizzo giurisprudenziale, ha richiamato la recente ordinanza numero 21.479/2020 della Corte di Cassazione che testualmente ha affermato: “La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello lavorativo (Cass. Sez. L, Sentenza n. 3491 del 14/02/2014).

Da tale principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva deriva la regola del cd. minimale contributivo, che prevede l'obbligo datoriale - a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell'ambito del rapporto di lavoro - di rispetto della misura dell’obbligo contributivo previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, secondo il riferimento ad essi fatto con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale - dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389).

Il principio ha fondamento nelle stesse finalità pubblicistiche della contribuzione previdenziale, posto che - come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 20 luglio 1992, n. 342 – “una retribuzione (...) imponibile non inferiore a quella minima (è) necessaria per l'assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, (in quanto), se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze”.

In relazione a ciò, questa Corte (Cass. Sez. L -, Sentenza n. 15120 del 03/06/2019, Rv. 654101 - 01) ha già avuto modo di affermare, in via generale ed a prescindere dal settore di attività del datore, che la, regola del cd. minimale contributivo opera sia con riferimento all'ammontare della retribuzione c.d. contributiva, sia con riferimento all'orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore, atteso che è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati …”.

Gli effetti di questa sentenza della Corte di Appello di Milano sono di notevole impatto per le imprese appaltanti perché afferma l’esistenza in capo all’impresa appaltante dell’obbligo solidale di pagare la contribuzione previdenziale anche nel caso in cui il lavoratore non sia stato utilizzato in modo esclusivo nell’appalto concesso. Questo obbligo non è parziale come la prestazione lavorativa ricevuta, ma intero.

Questa sentenza della Corte di Appello di Milano ha equiparato, in modo assoluto, l’obbligo contributivo dell’impresa appaltante a quello facente capo all'impresa datrice di lavoro, senza consentire alcuna diversificazione obbligatoria tra la posizione dell'una e la posizione dell’altra; di fronte all'Inps, l’appaltante e l’appaltatrice-datrice di lavoro, costituiscono un unicum.

A nulla vale, per la Corte di Appello di Milano, che il lavoratore nel mese abbia prestato contemporaneamente la sua attività lavorativa a favore di altra impresa appaltante anche per pochi giorni o poche ore; l’obbligo contributivo non è limitata solo a questi giorni e a queste ore ma si estende a tutto il minimo contributivo previdenziale mensile previsto per legge, per tutta la durata del contratto di appalto.

Questa sentenza rende poco attraente il ricorso alle prestazioni lavorative esternalizzate da parte delle imprese, perché pone a carico del committente un onere previdenziale mensile che si estende ben al di là dei giorni e delle ore di occupazione delle maestranze nel proprio appalto. Le ore lavorate possono essere anche modeste ma i contributi agli enti previdenziale devono essere pagati per intero nel caso in cui non vi dovesse provvedere l'impresa appaltatrice-datrice di lavoro.

Le imprese appaltanti, tenendo conto di questi principi non possono non esercitare che il massimo della vigilanza sull’adempimento degli obblighi previdenziali delle imprese appaltatrici sulle quali hanno fatto affidamento perché, in caso contrario, ne rispondono in solido e non semplicemente per il segmento della prestazione lavorativa resa a loro favore dal prestatore d’opera.

Dura lex sed lex.

 

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.