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2 soci amministratori con pari poteri possono essere anche lavoratori subordinati della società

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04/02/2022

È necessario che in qualche modo vi siano effettivamente i vincoli direttivi, gerarchici e disciplinari

Il nostro codice civile, parlando dei collaboratori dell’imprenditore, all’articolo 2094, definisce prestatore di lavoro subordinato “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”.

Da tempo si discute se l’amministratore di una società a responsabilità limitata possa nel contempo ricoprire insieme alla carica di rappresentanza anche la qualifica di lavoratore subordinato.

La giurisprudenza dei giudici di merito e dei giudici di Cassazione nel tempo ha offerto una varietà di posizioni l’una con l’altra contrastante con una certa confusione per l’interprete, per le aziende e per gli stessi lavoratori che hanno avuto l’occasione di prestare la loro attività lavorativa rivestendo questa triplice qualità.

Nel caso, ultimamente deciso dalla Corte di Cassazione, si è verificato che l’Inps ha contestato e disconosciuto la natura subordinata di due rapporti di lavoro qualificati come subordinati di due soggetti, che nel contempo, erano titolari della totalità delle quote sociali, in misura del 50% per ciascuno di essi, e nel contempo ricoprivano la carica di amministratore. Il consiglio di amministrazione era composto da loro due che operavano in un regime di assoluta parità e di controllo reciproco. Contro questo disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, notificato dall’Inps con un verbale di accertamento ispettivo, la società ha proposto ricorso in Tribunale. Il Tribunale ha accolto il ricorso della società riconoscendo la natura subordinata del rapporto di lavoro dei due interessati benché nel contempo ricoprissero la carica di amministratori della società e di socio.

La Corte di Appello di Firenze, su ricorso dell’Istituto previdenziale è stata di contrario avviso ed ha riformato la sentenza perché la partecipazione al “consiglio di amministrazione della società (di cui ciascuno dei due soci era socio al 50%), sia pur con riserva, nella delibera di loro nomina, della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali (comprese quelle relative al personale), ostasse alla costituzione di un vincolo di subordinazione alla società amministrata, per la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale e volitivo”.

La società non soddisfatta ha proposto ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello, assumendo che i due soci sebbene fossero titolari della totalità delle quote e fossero membri esclusivi del consiglio di amministrazione della stessa società, ben potevano assumere anche la qualità di lavoratori subordinati perché il vincolo di subordinazione era configurabile nella circostanza che, essendo entrambi componenti del consiglio di amministrazione e soci in posizione paritaria, ogni decisione societaria necessitava di una decisione congiunta, con la conseguenza che l'uno era subordinato all’altro.

La Cassazione ha accolto il ricorso della società riconoscendo la piena compatibilità tra la carica di amministratore e quella di lavoratore subordinato.

Per la Cassazione sussiste l'incompatibilità della condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società esclusivamente nel caso in cui il socio rivesta anche la qualifica di amministratore unico di una società, “non potendo in tal caso realizzarsi un effettivo assoggettamento del predetto all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che si caratterizza quale requisito tipico della subordinazione”.

Nel caso specifico la carica di amministratore è ben cumulabile con il rapporto di lavoro subordinato purché sia accertata “l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale e il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società. Questa circostanza ricorre, qualora sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore ad un potere disciplinare direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisce uno “schermo” per coprire un'attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato: così risultandone provata la soggezione al potere direttivo e disciplinare di altri organi della società e l’assenza di autonomi poteri decisionali”.

La Cassazione non ha condiviso la sentenza della Corte di Appello di Firenze, ritenendola errata, là dove ha affermato che fosse dirimente, in senso ostativo, in sé e per sé, la possibilità di riconoscere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nel caso in cui coesistono le qualità, in entrambi i lavoratori, di membri del consiglio di amministrazione della società (di cui ciascuno era socio al 50%), nonostante la previsione nella delibera della loro nomina della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali, comprese quelle relative al personale; in assenza, in capo ad ognuno dei due amministratori, di un autonomo potere direttivo sul personale rapporto di lavoro, invece, conferito a un diverso centro decisionale di amministrazione congiunta sovrapersonale”.

Cassazione sezione lavoro numero 2487, pubblicata il 27 gennaio 2022.

In sostanza, la Cassazione ha affermato che nel caso sottoposto al suo esame, si poteva ben configurare un rapporto di lavoro subordinato perché ciascun socio-amministratore era sottoposto alla vigilanza e al controllo dell’altro socio-amministratore: i due agivano in assoluta parità di reciproco controllo e direzione.

La Corte di Appello di Firenze dovrà riesaminare i fatti di causa perché la qualità di socio di una S.r.l., unita alla qualità di co-amministratore della stessa società, non può escludere, in modo imperativo e assoluto, la possibile coesistenza anche di un rapporto di lavoro subordinato; l’unica condizione richiesta è quella di verificare se nella realtà e nei fatti sussistono quei vincoli direttivi, gerarchici e disciplinari tipici del rapporto di lavoro subordinato come definito dal codice civile e vi sia un’attività lavorativa da svolgere diversa da quella normalmente eseguita da chi rappresenta legalmente una società. Occorre accertare, insomma, se il socio amministratore, per la società svolgesse anche quelle mansioni tipiche degli altri lavoratori subordinati.

Il tema è di grande interesse e si presta a molte difficoltà interpretative particolarmente per quei casi particolari, come quello esaminato in questa sentenza, che nella realtà si riscontrano spesso anche con notevole fantasia giuridica da parte di chi li crea e li realizza.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.