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Niente indennità sostitutiva del preavviso al dirigente del settore industria che si dimette

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01/11/2021

il datore di lavoro l’aveva esonerato dalla prestazione lavorativa nel periodo del preavviso

Un dirigente presenta le sue dimissioni concedendo il preavviso previsto dal contratto collettivo dei dirigenti delle aziende industriali. La datrice di lavoro, ricevuta la comunicazione delle dimissioni, a sua volta, ha comunicato al dirigente la cessazione immediata del rapporto di lavoro non avendo interesse alla prestazione lavorativa fino alla scadenza del termine finale del preavviso. Il dirigente ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Torino il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso che ha assunto essere a lui dovuta per legge e per contratto.

La datrice di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione assumendo l’erroneità della decisione e il suo diritto alla cessazione immediata del rapporto di lavoro senza nulla dover corrispondere al lavoratore dimissionario. A sostegno di questa sua tesi giuridica ha invocato la previsione dell’articolo 2118 del codice civile che, a suo dire, legittima il soggetto passivo che riceve la comunicazione del recesso, alla cessazione immediata del rapporto di lavoro senza l’obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva. Chi recede dal contratto non ha il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso se l’altra parte non ha interesse alla prestazione lavorativa in quel lasso di temporale.

Con questo suo ricorso in Cassazione, l’azienda ha lamentato “l’errore del giudice per avere omesso di rilevare l'assenza nel contratto collettivo di una previsione destinata a disciplinare gli effetti della rinunzia al preavviso del soggetto datore di lavoro in deroga alla disciplina codicistica”. Il datore di lavoro che riceve la comunicazione delle dimissioni con il preavviso lavorato può liberamente rinunciare alla prestazione lavorativa, senza aver obbligo di erogare la relativa indennità sostitutiva. Nel suo ricorso l’azienda ha evidenziato che nel caso specifico “la corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso ben lungi dall'assolvere alla funzione di ristoro alla quale essa è deputata aveva avuto l'effetto di duplicare ingiustificatamente le entrate economiche del dirigente il quale, grazie alla rinunzia al preavviso della società, aveva potuto immediatamente iniziare a prestare la propria attività in favore di una società concorrente”.

La Cassazione è stata chiamata così a decidere sulla corretta interpretazione da dare all’articolo 2018 del Codice civile e alle previsioni del contratto collettivo dei dirigenti del settore industria. La norma del Codice civile testualmente prevede: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un’indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”.

Il contratto collettivo dei dirigenti del settore industria prevede:

"1. Salvo il disposto dell'art. 2119 del c.c., il contratto a tempo indeterminato non potrà essere risolto dal datore di lavoro senza preavviso i cui termini sono stabiliti come segue: … (omissis)

3. Il dirigente dimissionario deve dare al datore di lavoro un preavviso i cui termini saranno pari ad 1/3 di quelli sopra indicati.

4. In caso di inosservanza dei termini suddetti è dovuta dalla parte inadempiente all'altra parte, per il periodo di mancato preavviso, una indennità pari alla retribuzione che il dirigente avrebbe percepito durante il periodo di mancato preavviso.

5. È in facoltà del dirigente che riceve la disdetta di troncare il rapporto, sia all'inizio, sia durante il preavviso, senza che da ciò gli derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto."

La Cassazione, interpretando la norma del codice e quella del contratto collettivo, ha accolto l’impugnazione della datrice di lavoro, che sosteneva l’insistenza del diritto del dirigente dimissionario a percepire l’indennità sostituiva del preavviso, con la motivazione che riportiamo di seguito:

“…alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica dell'art. 2118 c.c., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale (implicante, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine), ma ha efficacia obbligatoria, con la conseguenza che nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso; dalla natura obbligatoria dell'istituto in esame discende che la parte non recedente, che abbia - come nel caso di specie - rinunziato al preavviso, nulla deve alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso; alcun interesse giuridicamente qualificato è, infatti, configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che ad essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti dell'obbligazioni indicate nell'art. 1173 c.c.

La corte di Cassazione rilevando che la sua decisione rappresentava una “novità” ha ritenuto di dover compensare tra le parti le spese di lite dell’intero giudizio.

La pronuncia della Cassazione vale per il dirigente dimissionario del settore industria.

Vi sono altri contratti che disciplinano in modo ben diverso la materia delle dimissioni e del preavviso ad iniziativa del dirigente.

 

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.