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Restituzione di tutte le somme percepite se il patto di non concorrenza è dichiarato nullo

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17/09/2021

Lo ha detto il Tribunale del lavoro di Milano in una sentenza del mese di maggio 2021

L’azienda assume un suo collaboratore nel 2008; l’assunzione avviene con un patto di non concorrenza per un certo numero di mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. Il corrispettivo di questo patto è fissato in un importo mensile che dovrà essere corrisposto al lavoratore mensilmente, e per tutta la durata del suo rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Cessato il rapporto di lavoro, durato più di 10 anni, l’azienda ha agito contro il lavoratore per accertare la violazione del patto con condanna del lavoratore al “pagamento della penale pari a complessivi € 341.555,55 oltre a rivalutazione e interessi dal dì del dovuto al saldo,”

In via subordinata, nel caso il tribunale avesse ritenuto il patto di non concorrenza viziato da nullità, l’azienda chiedeva che il lavoratore fosse condannato a restituire gli importi ricevuti in costanza di rapporto di lavoro pari ad euro 113.851,85” sempre con “i frutti e gli interessi ex art. 2033 cod. civ. e al risarcimento del danno derivante da svalutazione monetaria. Il lavoratore contestava le domande della datrice di lavoro.

Il tribunale di Milano ha accolto solo la domanda dell’azienda proposta in via subordinata e ha dichiarato il patto di non concorrenza viziato da insanabile nullità “per indeterminatezza/non determinabilità del corrispettivo in esso previsto.”

Per la validità del patto occorre, per il Tribunale, che al momento della stipula del patto vi sia una quantificazione certa dell’ammontare del corrispettivo. Poiché il rapporto di lavoro nel caso esaminato era a tempo indeterminato il corrispettivo dovuto era, ontologicamente, indeterminabile perché conseguenza dell’effettiva e incerta durata del rapporto di lavoro.

Per il Tribunale il patto di non concorrenza, deve determinare in modo specifico i limiti di oggetto, di tempo e di luogo a cui il lavoratore è sottoposto, e deve completarsi con l'indicazione di un corrispettivo congruo tenuto conto del sacrificio risultante dal patto medesimo: oggetto, tempo e luogo costituiscono requisiti essenziali e imprescindibili di validità del patto, poiché in assenza di una loro compiuta indicazione sono a priori impediti, tanto la definizione della portata obiettiva del vincolo, quanto il giudizio di equivalenza tra i vantaggi reciproci delle parti.

La circostanza che il corrispettivo sia correlato alla durata del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fa sì che sussista, in concreto, la mancata specificazione del limite temporale.

Per il tribunale quel patto di non concorrenza per essere valido doveva prevedere fin dalla sua stipulazione, quanto meno, “un minimo garantito” di durata del rapporto di lavoro.

Il tribunale di Milano, con questa sentenza del maggio 2021, ha richiamato altri precedenti giurisprudenziali:

“il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità, un corrispettivo predeterminato nel suo preciso ammontare, al momento della stipulazione del patto, giacché è in tale momento che si perfeziona il consenso delle parti, e congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore in quanto costituisce il prezzo di una parziale rinuncia al diritto al lavoro costituzionalmente garantito; pertanto, vìola la norma la previsione del pagamento di un corrispettivo del patto di non concorrenza durante il rapporto di lavoro, in quanto la stessa, da un lato, introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà e indeterminatezza e, dall'altro, facendo dipendere l'entità del corrispettivo esclusivamente dalla durata del rapporto, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore, anziché di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto” (Tribunale di Milano, Sez. Lav., 28 settembre 2010; conformi, Tribunale di Milano, Sez. Lav., 19 marzo 2008; Tribunale di Milano, Sez. Lav., 18 giugno 2001).

“La previsione del pagamento di un corrispettivo del patto di non concorrenza durante il rapporto di lavoro non rispetta la previsione dell'art. 2125 c.c. in quanto da un lato introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un inammissibile elemento di aleatorietà e indeterminatezza e, dall'altro, facendo dipendere l'entità del corrispettivo esclusivamente dalla durata del rapporto, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore, anziché di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto” (Tribunale di Milano, Sez. Lav., 6 dicembre 2016, n. 2673).

Per il tribunale di Milano, in questa sentenza del 2021 (n. 1189/2021 pubblicata. il 26/05/2021), la nullità del patto di non concorrenza è configurabile nel fatto che “la determinazione o determinabilità dell’oggetto del contratto riguarda la genesi del patto, per cui devono essere presenti, ex ante, al momento della stipulazione dell'accordo, gli elementi di cui all'art. 1325 c.c.”.

Accolta la domanda di nullità del patto di non concorrenza, il tribunale di Milano ha dovuto conseguentemente accogliere la domanda dell’azienda diretta ad ottenere la restituzione di tutte le somme corrisposte durante il rapporto di lavoro. Il lavoratore è stato così condannato a restituire la somma lorda complessiva di euro 113.851,58, tenuto conto che il datore di lavoro deve essere considerato alla stregua di sostituto d'imposta.

L’orientamento giurisprudenziale espresso da questa sentenza, nonostante i precedenti richiamati, non è univoco; i problemi interpretativi che pone sono notevoli. La lezione che si può trarre, comunque, è che il patto di non concorrenza, quand’anche dovesse liberare il lavoratore dall’obbligo di astenersi dal rendere a favore di terzi quel tipo di attività lavorativa, lo espone sempre a dei rischi patrimoniali consistenti perché si troverebbe nell’incomoda posizione di dover restituire le somme già percepite in esecuzione di quel patto dichiarato nullo. Dalla padella alla brace. A decidere vi è sempre il “destino baro e cinico”. Le parti collettive, in occasione dei rinnovi dei contratti collettivi nazionali, dovrebbero riflettere sulla norma del codice civile che disciplina il patto di non concorrenza e trovare dei giusti correttivi a tutela del soggetto debole del rapporto di lavoro. Nella pratica applicazione della norma civilistica, come dimostra il caso della sentenza richiamata,  vi è un meccanismo che si può facilmente inceppare creando un danno non indifferente al dipendente che si è vincolato alla non concorrenza post cessazione del rapporto di lavoro.

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.