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Le settimane del preavviso non lavorato sono previdenzialmente utili

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25/06/2021

Devono essere conteggiate nel calcolo delle settimane che fanno maturare la naspi

Il lavoratore, dopo il licenziamento, chiede la corresponsione dell'indennità di disoccupazione. L’Inps respinge la domanda perché non vi sono le settimane lavorative necessarie per la maturazione di questo diritto. L'istituto previdenziale nel calcolo delle settimane si è rifiutato di considerare positivamente le cinque settimane relative all'indennità sostitutiva del preavviso non lavorato. L'assenza di queste settimane del preavviso non ha consentito il raggiungimento del requisito minimo per beneficiare della prestazione richiesta. Questa tesi giuridica è stata condivisa dalla corte di appello dell'Aquila che ha respinto la domanda del lavoratore.

La Cassazione, riformando la sentenza, invece, ha dichiarato il diritto del lavoratore a percepire l'indennità di disoccupazione invocando a sostegno di ciò "l'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo". Il periodo di preavviso anche se non è lavorato non è privo di rilevanza giuridica. Per la Cassazione l'indennità di disoccupazione è una prestazione che ha natura previdenziale e non assistenziale, non essendo il suo costo a carico della fiscalità generale ma correlata specificatamente ad un montante contributivo. Il datore di lavoro, come è ben noto, sull'indennità sostitutiva del preavviso deve sempre corrispondere all'Inps la normale contribuzione previdenziale anche se la prestazione lavorativa non c’è stata.

"Se e dunque l’indennità sostitutiva del preavviso è normativamente sottoposta a contribuzione, la quale concorre a formare la base pensionabile, logica (sinallagmatica) vuole che il tempo coperto dal preavviso sia considerato utile anche ai fini del raggiungimento del periodo minimo di lavoro necessario per beneficiare del trattamento di disoccupazione.

Del resto, l’ancoraggio normativo della spettanza dell’indennità di disoccupazione al biennio non fa riferimento ad un neutro arco temporale, ma ad un biennio di iscrizione all’Assicurazione generale obbligatoria, cioè un biennio di contributi; per converso, l’esclusione della rilevanza dei contributi pagati sull’indennità sostitutiva del preavviso contrasterebbe, con il generale principio della rilevanza dei contributi versati, che altrimenti si rileverebbero sterili. In tal senso, l’art. 73 sopra richiamato espressamente prevede che "in caso di disoccupazione involontaria le persone assicurate hanno diritto ad un’indennità giornaliera ragguagliata alla classe di contributi per la quale negli ultimi mesi è stato eseguito il maggior numero dei versamenti settimanali...", così stabilendo un chiaro nesso tra montante dei contributi versati ed ammontare dell’indennità di disoccupazione.

In conclusione, il periodo di preavviso non lavorato per il quale sia corrisposta l’indennità sostitutiva del preavviso, assoggettata a contribuzione previdenziale- va computato ai fini del raggiungimento del requisito dei due anni d’iscrizione nell’Assicurazione generale obbligatoria contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell’indennità ordinaria di disoccupazione. “Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 17606/21; depositata il 21 giugno 2021.

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Diritto del lavoro — In questo sito trattiamo in modo sistematico gli istituti del diritto del lavoro (fonti, presupposti, effetti) e pubblichiamo una selezione ragionata di giurisprudenza realmente operativa. Il tutto con particolare attenzione sulla Lombardia: decisioni di Corti d’Appello e Tribunali del territorio, baricentro del diritto vivente per volume di cause e specializzazione dei magistrati. Le controversie si definiscono soprattutto nei giudizi di merito; la Cassazione interviene su motivi di legittimità assai circoscritti. Offriamo sintesi tecniche, massime giurisprudenziali  utili e rimandi ai testi integrali.

Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.