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Se i figli maggiorenni non studiano e rifiutano di lavorare non hanno diritto al mantenimento

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12/11/2019

Il Tribunale di Verona ha negato il diritto a due figli maggiorenni di essere mantenuti dal padre. Si rifiutavano di studiare e di lavorare

Non è semplice negare il diritto ai figli di essere mantenuti dai genitori ma nel caso deciso dal Tribunale di Verona vi sono gli elementi necessari per negarlo.

In questa sua decisione il Tribunale ha preliminarmente affermato “che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli perdura fino a che gli stessi non abbiano raggiunto l'indipendenza economica ovvero il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell'obbligo non dia prova del fatto che il mancato svolgimento di un'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia del figlio ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso. Il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento si giustifica infatti nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni, purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori e con criteri proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari.”

Nel caso in esame Il Tribunale ha osservato che “i due ragazzi - attualmente di 24 e 22 anni – non hanno conseguito il diploma di scuola media superiore, non risultano essere proficuamente impegnati in un percorso di studi, non risultano svolgere attività lavorativa e non risultano nemmeno essersi attivamente impegnati per il reperimento di un'occupazione.

Quanto al figlio si deve osservare come già nel novembre 2015 egli avesse dichiarato di non frequentare nessuna scuola e come sia pacifico che il ragazzo non abbia da allora ripreso gli studi né abbia intrapreso stabilmente attività lavorativa.

Quanto poi alla figlia, la documentazione prodotta dalla difesa del ricorrente dà conto delle difficoltà da lei incontrate nel percorso scolastico, che, nonostante l'età, non risulta aver ancora portato a termine, non avendo superato la quarta classe superiore, anche a causa di una frequenza scolastica discontinua.

Secondo quanto riferito dal teste entrambi i figli avrebbero peraltro avuto proposte di lavoro, da loro non accettate su indicazione degli zii materni.

Sulla scorta di tali risultanze può, dunque, senz'altro ritenersi che i due ragazzi, a fronte di un percorso scolastico non portato avanti o, nonostante l'età, non ancora concluso, non abbiano nemmeno colto concrete occasioni per inserirsi nel mondo del lavoro e conseguire la propria indipendenza economica e che sono pertanto ormai venuti meno i presupposti per il riconoscimento di un mantenimento in loro favore.”

Questi elementi in fatto hanno causato l’esclusione dell’obbligo del padre di doverli continuare a mantenere.

Tribunale di Verona, sez. I Civile, sentenza depositata il 26 settembre 2019

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.