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Reperibilità notturna: la Cassazione chiarisce che è "orario di lavoro" e deve essere adeguatamente retribuita

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20/05/2025

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 10648 del 23 aprile 2025, ha affrontato una questione di grande rilevanza per i lavoratori che svolgono turni di reperibilità notturna presso il luogo di lavoro. Il caso riguardava un, educatore di 5° livello CCNL Cooperative Sociali, che aveva richiesto il pagamento di straordinari notturni per i turni di reperibilità svolti due notti a settimana, immediatamente dopo il turno pomeridiano/serale, per un totale di 48 ore settimanali.

L’educatore era obbligato a pernottare presso la struttura lavorativa in regime di reperibilità, rimanendo a disposizione del datore di lavoro per eventuali interventi.  Sebbene non sempre fosse richiesto un intervento attivo, la sua presenza fisica sul luogo di lavoro limitava significativamente la possibilità di gestire liberamente il proprio tempo, rendendo il periodo di reperibilità incompatibile con la definizione di "tempo libero".

In primo grado, il Tribunale di Agrigento aveva riconosciuto a Cacciatore il diritto a una retribuzione di € 41.003,89 per lavoro straordinario e notturno.  Tuttavia, la Corte d’Appello di Palermo aveva riformato la sentenza, sostenendo che i turni di reperibilità fossero disciplinati dall’art. 57 del CCNL Cooperative Sociali, che prevede un’indennità fissa mensile di € 77,47, senza considerare tali ore come "orario di lavoro".

Cacciatore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i turni di reperibilità notturna presso il luogo di lavoro dovessero essere qualificati come "orario di lavoro" ai sensi della Direttiva 2003/88/CE e che la retribuzione prevista dal CCNL fosse insufficiente e non proporzionata, in violazione dell’art.36 della Costituzione.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che:

  1. Reperibilità come "orario di lavoro": In base alla normativa europea e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, il tempo trascorso in reperibilità presso il luogo di lavoro, anche senza svolgimento di attività lavorativa concreta, deve essere qualificato come "orario di lavoro".  Questo perché il lavoratore, obbligato a permanere sul luogo di lavoro, subisce una significativa compressione della sua libertà di gestione del tempo, che non può essere considerato "tempo libero".
  2. Adeguatezza della retribuzione: La Corte ha evidenziato che, sebbene la Direttiva 2003/88/CE non disciplini direttamente la retribuzione, questa deve comunque rispettare i principi di proporzionalità e sufficienza sanciti dall’art.36 della Costituzione italiana. La retribuzione prevista dal CCNL per i turni di reperibilità notturna è stata ritenuta non conforme a tali principi, in quanto non proporzionata alla prestazione lavorativa richiesta.

La Corte ha chiarito che:

  • L’obbligo di pernottamento presso il luogo di lavoro, anche se non comporta interventi attivi, comprime significativamente la libertà del lavoratore e deve essere considerato "orario di lavoro".
  • La retribuzione deve essere proporzionata e dignitosa, in conformità ai principi costituzionali.  Il giudice può disapplicare le previsioni del CCNL se queste non rispettano tali principi.
  • La definizione di "orario di lavoro" va intesa in opposizione a quella di "riposo", con reciproca esclusione delle due nozioni.

La Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Palermo e rinviato il caso per un nuovo esame, stabilendo che i turni di reperibilità notturna presso il luogo di lavoro devono essere considerati "orario di lavoro" e retribuiti in modo proporzionato e dignitoso.  Per la Cassazione le prestazioni lavorative devono essere riconosciute e retribuite in modo equo.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.