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La pubblicazione di foto ad opera di terzi su Facebook con danno dell’azienda, non giustifica il licenziamento.

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12/03/2024

Il dipendente di un ente pubblico economico pugliese fin dal 2011 addetto agli impianti di irrigazione, in occasione di un intervento di controllo su alcuni lavori precedentemente svolti, si è bagnato ed è stato autorizzato dal suo superiore ad allontanarsi mezzora dal posto di lavoro per cambiarsi gli indumenti, tenuto anche conto dell'interferenza sul luogo di lavoro con degli impianti elettrici.

Per cambiarsi, il lavoratore ha raggiunto la casa della madre con l'auto aziendale in sua dotazione, ma nel tragitto di ritorno si è fermato in un mercato di zona, per acquistare della verdura; in questo frangente l'auto aziendale è stata vista e fotografata; la foto è stata pubblicata su Facebook, raccogliendo l'indignazione di vari partecipanti al social media che hanno avuto modo di ironizzare sulla presenza del lavoratore al mercato a fare la spesa durante l’orario di lavoro.

L’azienda, venuta a conoscenza dei fatti, ha contestato al lavoratore la falsa attestazione della presenza in servizio, licenziandolo sia per l'alterazione dolosa dei mezzi aziendali di controllo, sia per il compimento di atti con dolo o colpa grave e danno per l'Azienda, ravvisate nel pregiudizio al prestigio conseguente alla vicenda della pubblicazione su Facebook.

Il licenziamento, è stato confermato nella sua legittimità dal Tribunale di Bari, ma è stato invece annullato dalla Corte d'Appello di Bari che ha reintegrato il lavoratore nel posto di lavoro con il risarcimento del danno e il versamento della contribuzione previdenziale. La Corte di appello ha escluso che il lavoratore avesse alterato dolosamente i mezzi di rilevamento delle presenze o che avesse cercato di occultare il suo allontanamento dal posto di lavoro.

La Corte di appello ritenendo insussistente sia il dolo che la colpa grave con danno per l'azienda, ma più semplicemente l’abbandono non autorizzato del posto di lavoro, di durata variabile a seconda che si fosse ritenuta idonea l'autorizzazione del superiore ad allontanarsi o che illegittimo fosse il solo periodo di sosta al mercato; per questo comportamento il  CCNL applicato al rapporto di lavoro prevedeva l’applicazione della sola sanzione conservativa, dell'ammonizione, della multa o della sospensione dal servizio. La Corte di appello ha disposto conseguentemente la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con condanna dell’azienda al pagamento di dodici mensilità di retribuzione a titolo indennitario, oltre alla contribuzione previdenziale.

L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo che il comportamento del lavoratore aveva arrecato un danno all’azienda sanzionabile con il licenziamento, in quanto l'avere dei terzi estranei trovato il veicolo dell’azienda maldestramente occultato nei pressi del mercato aveva determinato la pubblicazione su "Facebook" delle relative foto, con un "post" di critica sarcastica in ordine all'uso dell'auto di servizio per scopi personali, cui si erano aggiunti nella sezione "commenti" gli interventi di numerosi cittadini, con espressioni fortemente critiche verso l’azienda e pregiudizio quindi all'immagine dell'ente pubblico.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso aziendale evidenziando che nell’occasione non vi era stata alcuna alterazione “dolosa dei sistemi aziendali di controllo della presenza". Il lavoratore non ha per nulla interferito con essi ed anzi è ben difficile ritenere che l'allontanamento non fosse tempo di lavoro, essendo stato esso stesso cagionato dallo svolgimento della prestazione ed essendovi per giunta l'autorizzazione del responsabile del settore cui era assegnato il lavoratore, sicché non vi era neanche da far constare quell'uscita. L'avere approfittato di tale uscita per fare anche la spesa al mercato è altra cosa dall'alterazione dei sistemi di rilevamento, che esprime una fraudolenza specifica e diversa.

Per quanto concerne il danno procurato all’azienda, la Corte di Cassazione nella motivazione lo ha escluso affermando che “l'integrazione della fattispecie del fatto doloso e colposo con danno per l'azienda richiede, sia nella variante dolosa sia in quella colposa, che il pregiudizio fosse prevedibile come conseguenza della condotta, non potendosi imputare un evento all'agente, neanche come rimprovero per colpa, se si tratti di un fatto non prevedibile come conseguenza verosimile del comportamento tenuto. Ciò posto, è evidente che la ripresa fotografica dell'auto aziendale da parte di un terzo estraneo, nel lasso di tempo in cui essa fu parcheggiata presso il mercato e poi la pubblicazione della foto su un "social" sono circostanze del tutto imprevedibili e sostanzialmente eccezionali rispetto alle conseguenze proprie del comportamento tenuto, tali da esprimere una causalità sopravvenuta e non imputabile all'agente. Resta dunque il solo fatto dell'abbandono non autorizzato del lavoro per quei minuti della spesa al mercato, nel contesto di un allontanamento verso casa in sé non illegittimo perché cagionato dalla necessità di cambiarsi gli abiti perché bagnatisi in seguito alla prestazione lavorativa, abbandono rispetto al quale non è neppure da parlare di danno, perché il datore ben può recuperare quel tempo sulla retribuzione, azzerando senza difficoltà il (pur minimo) pregiudizio economico.

In questo quadro, la soluzione data dalla Corte territoriale appare corretta perché la violazione commessa è sanzionata dal CCNL con una misura conservativa e non con il licenziamento.

Ma appaiono non violati  anche i parametri di proporzionalità. L’apprezzamento della proporzionalità è valutazione propria del giudice del merito, che in tanto potrebbe essere censurata in quanto si evidenziassero elementi di manifesta irrazionalità.

Ma è evidente che non vi è alcuna irragionevolezza manifesta a fronte di un allontanamento cagionato da un'evenienza lavorativa, ovverosia per la necessità di cambiarsi gli abiti bagnatisi per lo svolgimento della prestazione, nell'essersi ritenuto che la sottrazione di pochi minuti per fare la spesa non potesse avere l'effetto di comportare la totale perdita del legame fiduciario e potesse comportare addirittura il licenziamento.”Cassazione civile sez. lav., 06/12/2023, n.34107.

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.