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Non è rapporto di lavoro subordinato

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07/10/2022

respinte tutte le domande del collaboratore e degli eredi contro un quotidiano nazionale

Un collaboratore di un noto e diffuso quotidiano nazionale ha convenuto avanti il Tribunale di Milano la proprietà perché fosse dichiarata la natura subordinata della prestazione lavorativa svolta fin dal 1988 e per 33 anni con la condanna al pagamento delle differenze retributive dovute in qualità di redattore, collaboratore fisso, con l'applicazione del contratto collettivo dei giornalisti. La società editrice si è costituita chiedendo il rigetto delle domande del collaboratore negando che nel 1988 sia sorto un rapporto continuativo ed escludendo, in ogni caso, la ricorrenza dei presupposti per l’inquadramento quale collaboratore fisso ex art. 2 C.N.L.G. Nelle more del giudizio e nel 2021 il collaboratore è deceduto; la causa è stata proseguita dagli eredi.

In occasione del decesso, il quotidiano ha dedicato al suo collaboratore un’intera pagina sottolineando che sarebbe mancato, “non soltanto ai lettori di queste colonne, per le quali scriveva dal 1988, ma a tutto il teatro italiano, che trovava nei suoi articoli un punto di riferimento sicuro e costante”.

A sostegno della sua domanda, il collaboratore, giornalista professionista, ha assunto di aver prestato la sua attività lavorativa "nell’inserto settimanale “Domenicale” (supplemento di approfondimento culturale), con articoli in materia di teatro e recensioni su eventi culturali e spettacoli teatrali."

Il Tribunale preventivamente ha ritenuto di dover fornire gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro affermando : "Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte è possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro soltanto ove sia dimostrata la sussistenza di una serie di indici quali, in particolare, l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro; elemento essenziale del rapporto di lavoro subordinato è, in primis, l’esercizio da parte del preteso datore di lavoro del potere direttivo: potere che deve essere inteso quale facoltà del datore di ingerirsi nell’esecuzione della prestazione lavorativa, determinandone le modalità di svolgimento.

Non vi è dubbio che l’eterodirezione sia destinata a manifestarsi in modo differente a seconda della posizione ricoperta dal lavoratore nell’ambito dell’organizzazione aziendale e, soprattutto, delle differenti realtà nelle quali il lavoratore è inserito; deve precisarsi, tuttavia, che semplici direttive generali e programmatiche, così come un generale controllo estrinseco dell’attività lavorativa, costituiscono elementi compatibili anche con la prestazione di lavoro autonomo, ovvero con le tipiche forme di collaborazione che derivano dai più diversi rapporti contrattuali potenzialmente intercorrenti tra soggetti diversi.

Ne consegue che il potere direttivo deve normalmente determinare, più che la prestazione del lavoro, il modo di svolgimento della stessa: in sostanza il potere direttivo deve essere esercitato in modo tale da garantire un proficuo inserimento della prestazione nell’organizzazione datoriale, al fine della realizzazione degli interessi aziendali; come evidente, questo profilo risente della varietà delle posizioni lavorative, delle strutture organizzative e della stessa tipologia dell’attività esercitata.

In via sussidiaria, ma tra loro concorrente quantomeno per una valutazione in via presuntiva, possono costituire indici sintomatici della sussistenza di un rapporto subordinato anche la collaborazione e l’inserimento continuativo del lavoratore stesso nell’impresa, il vincolo di orario, la forma della retribuzione, l’assenza di rischio (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 9 marzo 2009, n. 5645).

Sono criteri che rilevano in misura diversa.

Alcuni di essi sono esterni al contenuto specifico dell’obbligazione (inserimento nell’organizzazione del datore di lavoro), altri possono solo assumere un rilievo residuale (vincolo di orario, forma della retribuzione, incidenza del rischio): si tratta di criteri che possono essere utilizzati per rafforzare il giudizio di soggezione di una parte al potere datoriale di un’altra, ma, di per sé considerati, non sono sufficienti a determinare il giudizio di subordinazione; ne consegue che, anche ove fossero ravvisabili tutti i criteri sussidiari, la natura subordinata del rapporto dovrebbe comunque essere esclusa qualora non vi fosse prova dell’elemento fondamentale, ossia dell’eterodirezione.

Nell’ambito di rapporti di lavoro di natura giornalistica, peraltro, tutti i suddetti requisiti debbono essere declinati tenuto conto delle peculiarità proprie dell’attività, nonché di quanto previsto dal Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico e, più nello specifico, delle definizioni che lo stesso contempla per le varie figure professionali.".

Il Tribunale di Milano, analizzando le dichiarazioni rese dai numerosi testimoni che sono stati sentiti sulle modalità di espletamento dell'attività di collaboratore del giornalista, ha respinto la sua domanda e quella degli eredi subentranti.

Per il Tribunale di Milano, "L’istruttoria, in primo luogo, ha consentito di accertare la sussistenza dei presupposti della “continuità di prestazione” e della “responsabilità di un servizio”.

Ma, per il giudice, " l'istruttoria non ha consentito di ritenere provato il “vincolo di dipendenza”, nella sua declinazione specifica cristallizzata dalla previsione contrattuale quale “impegno del collaboratore fisso di porre a disposizione la propria opera” che non viene meno “tra una prestazione e l’altra in relazione agli obblighi degli orari, legati alla specifica prestazione e alle esigenze di produzione, e di circostanza derivanti dal mandato conferitogli”.

Non è stato possibile riconoscere il rapporto di lavoro subordinato perché è mancato "l’accertamento de “l’inserimento continuativo ed organico di tali prestazioni nell’organizzazione dell’impresa dell’editore” e de “l’obbligo di essere sempre a disposizione... È, del pari, mancata la prova della presenza di “ordini specifici oltre che in una vigilanza e un controllo assiduo delle prestazioni lavorative”, per quanto “da valutarsi con riferimento alla peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione” .

Il rapporto di collaborazione tra il giornalista e il quotidiano non era esclusivo. Il Supremo Collegio ha chiarito che l’attività svolta dal collaboratore fisso è contraddistinta, tra l’altro, da “vincolo di dipendenza ed esclusività”.

A tutto questo, per ultimo, si deve aggiungere che per quasi 33 anni, durata della prestazione, il collaboratore non ha mai sollevato qualsivoglia rivendicazione. Con questo comportamento reiterato ed univoco, ha manifestato chiaramente di ritenere non sussistente il rapporto di lavoro subordinato.

Pur respingendo la domanda degli eredi, il Tribunale ha ritenuto equo compensare integralmente le spese di lite per la particolare e specifica materia del contendere tra le parti.

Tribunale di Milano sezione lavoro sentenza n. 1309 pubblicata il 20 luglio 2022.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.