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LA SEMPLICE SCORTESIA COL CLIENTE NON GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO

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11/07/2022

È DIRIMENTE LA PREVISIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO

La GS spa intimava ad  un suo  dipendente, addetto alle operazioni ausiliarie alla vendita, il licenziamento per giusta causa per essersi rifiutato, con modi scortesi, di aiutare un cliente a prendere una cesta di acqua situata su uno scaffale in alto; cliente che, in seguito, si era lamentato dapprima con l’assistente alle casse e servizi e, poi, con il responsabile della struttura commerciale.

 Impugnato il licenziamento, il tribunale accoglieva il ricorso del lavoratore, disponendo con ordinanza la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento a suo favore di una indennità risarcitoria pari a otto mensilità.

Proposta Opposizione contro l’ordinanza, il Tribunale di Milano confermava il provvedimento già emesso.

 La Corte di appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione della sentenza ad iniziativa del datore di lavoro, rigettava il reclamo aziendale.

A fondamento della decisione assunta, la Corte di appello rilevava che, comunque, il fatto contestato non integrava gli estremi della giusta causa di licenziamento in quanto la condotta poteva essere riferita alla previsione di cui al CCNL di settore, che puniva solo con la sanzione conservativa la negligenza del dipendente consistita nel mancato adempimento agli obblighi di assistenza alla clientela e nel non aver usato modi cortesi con il cliente. Il comportamento trasgressivo non è stato ritenuto grave tanto grave da giustificare il recesso.

Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione la società datrice di lavoro lamentandone l’erroneità giuridica.  Preliminarmente, nell’esaminare il ricorso, la Cassazione ha rilevato che “Il problema di diritto che viene posto è quello di accertare se sia consentito al giudice -una volta esclusa la giusta causa ai fini della valutazione della legittimità del licenziamento- sotto il diverso profilo della tutela applicabile, di sussumere la fattispecie concreta in una disposizione contrattuale collettiva sanzionatoria che preveda, nella descrizione della fattispecie medesima, una clausola aperta, elastica o di chiusura.”

A questa domanda, la Cassazione ha dato esauriente risposta con la motivazione che si riporta.

“Questa Corte, con una recente pronuncia (cfr. Cass. n. 11665/2022) cui si intende dare seguito per le condivisibili argomentazioni ivi svolte, ha affermato il seguente principio: "in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, come novellata dalla L. n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo."

Alla stregua di tale principio, va osservato che la Corte territoriale ha svolto correttamente tale indagine sottolineando che la mancanza del requisito della "gravità", in ordine alla condotta ravvisata nel caso concreto (mancata osservanza, nel modo più scrupoloso, dei doveri di ufficio e del segreto ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri, art. 220 del CCNL) non consentiva l’adozione del licenziamento ai sensi dell'art. 225 del CCNL di settore, bensì la sanzione conservativa della multa essendo ipotizzabile solo una esecuzione negligente, da parte del lavoratore, del lavoro affidatogli, come previsto dallo stesso CCNL.” Cassazione civile sez. lav., 28/06/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 28/06/2022), n.20682.

Il ricorso dell’azienda è stato così rigettato con la conferma integrale della sentenza.

Biagio Cartillone

 

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.