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Chiede di assentarsi dal lavoro per assistere la madre disabile ma per un disguido non vi riesce

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29/04/2022

licenziamento illegittimo con diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro

Il datore di lavoro ha contestato ad una lavoratrice di essere andata in villeggiatura in un giorno di permesso ex lege n. 104 del 1992, concesso per assistere la madre disabile, che invece si trovava in altro luogo, violando "i principi di correttezza e buona fede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà" e cagionando altresì con l'"assenza dal servizio disagi e disservizi nell'organizzazione del lavoro"; in sede di giustificazioni, la lavoratrice non ha negato l'effettività del fatto specificamente contestato, scusandosi dell'errore commesso di cui ha riconosciuto la gravità, adducendo quali motivi l'improvvisa indisponibilità espressa dalla madre soltanto nella tarda serata del giorno prima a raggiungerla, come concordato, presso la località di villeggiatura e, quanto al mancato tempestivo rientro, le proprie condizioni di salute, anche in relazione alla guida di notte per lunghi tragitti ed al traffico che avrebbe trovato di non aver pensato di avvertire l'azienda del fatto che quel giorno. non avrebbe potuto materialmente assistere la madre e comunque di essere ripartita in treno nel pomeriggio dello stesso giorno, disdettando la prenotazione dell'albergo.

Il datore di lavoro non ha accettato le giustificazioni e le ha intimato il licenziamento per giusta causa che la lavoratrice ha impugnato tempestivamente. Il tribunale, prima e la Corte di appello, dopo, hanno concordemente annullato il licenziamento per giusta causa condannando il datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro e al risarcimento del danno subito.

Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione il datore di lavoro assumendone l’erroneità in diritto. In particolare, il datore di lavoro ha contestato la violazione delle previsioni del contratto collettivo. Nel caso in esame i giudici del merito avrebbero erroneamente qualificato il comportamento della lavoratrice come una semplice assenza arbitraria dal posto di lavoro punibile con una sanzione conservativa del posto di lavoro mentre, in realtà il comportamento posto in essere con la inveritiera e infedele richiesta del permesso per assistere la madre disabile, usufruendo dei benefici della legge, costituiva una violazione dei doveri contrattuali ben diversa dalla norma collettiva che si è assunto essere stata violata e che disciplina il ben diverso caso in cui il lavoratore non si è presentato semplicemente al lavoro per rendere la sua prestazione.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’azienda con la seguente motivazione: “In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, …, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando tale operazione di interpretazione nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.

Si è argomentato che anche laddove la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva mediante una clausola generale o elastica, "graduando la condotta con riguardo ad una sua particolare gravità ed utilizzando nella descrizione della fattispecie espressioni che necessitano di essere riempite di contenuto", sicuramente "rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola utilizzando standard conformi ai valori dell'ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità", perché "all'interprete è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussumibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta.

Pertanto, costituiva specifico compito dei giudici del merito accertare la sussumibilità del fatto contestato, così come ricostruito da costoro e non secondo la prospettazione della società, nell'ambito delle previsioni collettive che comminano sanzioni conservative, considerata la vincolatività di queste ultime (anche ai fini della individuazione della tutela applicabile con la novella dell'art. 18 statuto dei lavoratori; ciò hanno fatto i giudici bolognesi attraverso una valutazione del grado di gravità della condotta che tenesse conto di tutte le circostanze del caso concreto, riconducendo quest'ultimo, plausibilmente, ad una ipotesi omologabile all'assenza arbitraria per un giorno lavorativo.” Cass. civ., sez. lav, sent., 26 aprile 2022, n. 13065.

Semplificando il complesso e articolato linguaggio letterario-giuridico della motivazione della sentenza della Corte possiamo più semplicemente dire che la lavoratrice non ha approfittato in modo fraudolento delle tutele previste dalla legge per i parenti disabili ma più semplicemente si è assentata dal lavoro, senza aver potuto assistere effettivamente la madre disabile per delle cause sopravvenute indipendenti dalla sua volontà. È stata assente dal lavoro ma senza raggiri e senza dolo. La sua condotta non giustifica l’applicazione della massima sanzione disciplinare, come quella del licenziamento per giusta causa, che può essere adottata solo in altri e ben diversi casi connotati da gravità e dolo. Il tutto del rispetto delle previsioni disciplinari del contratto collettivo.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.