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Doppia tutela per il lavoratore utilizzato nell'appalto che cessa col subentro di altra impresa

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08/04/2022

Il principio è stato applicato in una controversia del settore della vigilanza privata ma vale un po’ per tutti i settori

Un’impresa del settore vigilanza cessa il contratto di appalto al quale subentra altra società. L'impresa cessante comunica al lavoratore il licenziamento per il cambio di appalto e il passaggio delle maestranze alle dipendenze della nuova società, senza soluzione di continuità, in base agli articoli 24 e seguenti del contratto collettivo del settore della vigilanza. La società subentrante nell'appalto, però, ha proposto al lavoratore l'assunzione a condizioni diverse e con un orario di lavoro ridotto.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento avanti il Tribunale di Palermo che lo ha dichiarato legittimo. La Corte di appello di Palermo, riformando la sentenza, ha giudicato illegittimo il licenziamento per il cambio di appalto perché la società cessante non aveva dato prova dell’esistenza delle condizioni previste dal contratto collettivo: l’assunzione del lavoratore alle dipendenze della nuova impresa subentrante nell’appalto. Conseguentemente, ritenuta l'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per motivo oggettivo ed individuata l'applicabilità dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ha condannato la società cessante l’appalto alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento dell'indennità commisurata a 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Contro la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società datrice di lavoro, che ha cessato l'appalto, lamentandone l'erroneità.

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso rilevando, innanzitutto, che il licenziamento è stato intimato a causa del cambio di appalto, cioè del subentro di altro Istituto di vigilanza nel servizio. Il licenziamento del lavoratore poteva essere considerato legittimo solo nel caso in cui si fossero effettivamente realizzate le condizioni previste dal contratto collettivo continuazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della società subentrante, senza soluzione di continuità e alle precedenti condizioni economiche. L’impresa cessante aveva l’onere di provare "l'effettivo e incondizionato subentro di un altro Istituto di vigilanza nel medesimo appalto di servizi" quale garanzia di "certezza che il preesistente rapporto di lavoro fosse destinato a rimanere immutato nelle originarie componenti retributive, classificatorie, logistiche e temporali e senza soluzione di continuità con l'Istituto di vigilanza subentrane". Questa prova non è stata fornita perché la subentrante aveva offerto al lavoratore solo una assunzione a condizioni diverse rispetto a quelle già godute, ed esattamente con orario ridotto.

La Corte di Cassazione ha ribadito che la procedura del contratto collettivo avente ad oggetto la cessazione dell’appalto con subentro di altra impresa è stata introdotta dalle parti collettive per "sottrarre le risoluzioni dei rapporti di lavoro in ragione dei cambi di appalto dalla applicazione delle disposizioni “ delle norme sul licenziamento collettivo. Per la Corte di Cassazione “ Come è noto, l'art. 7 del D.L. 31/12/2007, n. 248, al comma 4-bis, introdotto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, ha previsto che "Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l'acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative". La disposizione ha quindi aggiunto un'ipotesi ulteriore alle eccezioni rispetto all'applicazione della procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991, già individuate dall'alt. 24 comma 4 per i casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e di attività stagionali o saltuarie, relativa al subentro nell'appalto di servizi. Allo scopo, ha però previsto un requisito: che i lavoratori impiegati siano riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, oppure che siano riassunti a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. (Solo) nella ricorrenza di tali presupposti, infatti, la situazione fattuale costituisce sufficiente garanzia per i lavoratori, risultandone la posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dall'alt. 24 della L. n. 223 del 1991. Ciò risulta confermato anche dalle dichiarate finalità della disposizione, di "favorire la piena occupazione e di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori", che concorrono ad individuare l'ambito dell'esonero dal rispetto della procedura collettiva”.

La Corte di Cassazione ha ribadito chiaramente che le norme di legge e le disposizioni del contratto collettivo del settore della vigilanza sono volte a “garantire la continuità occupazionale”. Queste norme “esigono, quale requisito immanente della legittimità del recesso per cambio di appalto, l'effettiva assunzione del lavoratore alle dipendenze della società subentrante, senza soluzione di continuità …, e alle medesime condizioni economiche e normative”.

La Corte ha concluso confermando il suo precedente indirizzo giurisprudenziale secondo cui, “ove il contratto collettivo preveda, per l'ipotesi di cessazione dell'appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l'assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell'impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l'originario datore di lavoro e mediante la costituzione "ex novo" di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all'esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario.

Il lavoratore utilizzato nell’appalto, così, nel caso di cessazione dell’appalto che continua con altra azienda, è titolare della coesistenza di due forme di tutela, nei confronti della società uscente e nei confronti della società subentrante: all’una potrà chiedere la reintegrazione nel posto di lavoro mentre all’altra potrà chiedere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto di lavoro alle condizioni esistenti in precedenza alle dipendenze dell’altra impresa.

Questa doppia tutela, come una sorta di contrappasso dantesco, compensa l’ontologica debolezza del lavoratore che presta la sua attività in appalti che sono destinati ad avere vita breve e turn-over istituzionale nella titolarità del rapporto di lavoro.

(Corte di Cassazione ordinanza sezione lavoro numero 9932 pubblicata il 28 marzo 2022.)

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.