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Aggredita e uccisa per un raptus passionale mentre va a lavorare

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10/11/2021

Non è infortunio in itinere per la cassazione

La corte di appello, riformando la sentenza del tribunale ha rigettato la domanda di una madre volta ad ottenere la rendita ai superstiti per l'infortunio in itinere occorso alla figlia, aggredita e uccisa mentre si recava al lavoro. La corte di appello ha rigettato la domanda della madre perché l’aggressione mortale era da ascriversi a un raptus passionale dell'aggressore, conosciuto dalla lavoratrice in chat, condannato a pena detentiva per omicidio premeditato; nella specie, pr la corte di appello era da escludersi la configurabilità di un infortunio in itinere suscettibile di tutela assicurativa.

La madre, si è rivolta alla Cassazione assumendo che la corretta interpretazione delle norme avrebbe dovuto far ritenere provata la vera e propria occasione di lavoro tra evento e percorso per recarsi al lavoro e non una mera coincidenza topografica e cronologica, per esservi tutti gli elementi dimostrativi della circostanza che la povera figlia lavoratrice sarebbe stata ancora viva se quella mattina non si fosse recata al lavoro o non avesse percorso quella strada; si assume, inoltre, come acquisita la piena prova dell'attività lavorativa come specifica condizione che aveva reso possibile l'omicidio, in considerazione della particolarità dei luoghi poco frequentati al momento dell’appostamento, dell'orario, di primissima mattina, e della conoscenza degli stessi da parte dell'omicida che, per tali ragioni, aveva potuto agire indisturbato e pianificare la sua azione delittuosa.

I motivi dell’impugnazione però non sono stati ritenuti dalla Cassazione tali da poter incrinare la decisione impugnata della corte di appello.

Nel rigettare l’impugnazione, la cassazione ha affermato che l'art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000, che ha disciplinato l'infortunio in itinere nell'ambito della nozione di occasione di lavoro di cui all'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965 - prevede “la necessità non solo della causa violenta ma anche della occasione di lavoro, con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, la tutela è esclusa al venir meno dell'occasione di lavoro in quanto il collegamento tra evento e normale tragitto casa-lavoro diventa marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica, come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali, tra aggressore e vittima, estranei all'attività lavorativa.”

Richiamando anche la precedente giurisprudenza delle sezioni unite della cassazione, si riconferma il principio che “il fatto doloso del terzo esclude l'infortunio indennizzabile soltanto se la finalità dell'azione delittuosa sia estranea al lavoro, per essersi ingenerate situazioni di pericolo individuale alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro, mentre non lo esclude se persiste tra comportamento del terzo ed evento un collegamento funzionale con l'attività di lavoro, anche a prescindere da qualsiasi coincidenza cronologica e topografica.

Vale la pena di puntualizzare che per le aggressioni subite dal lavoratore, e dalla lavoratrice, durante il tragitto casa-lavoro, il comportamento del terzo costituisce una delle componenti causali dell'infortunio e l'aggressione non fa venire meno l'occasione di lavoro in quanto essa costituisce il fattore causale dell'infortunio reso possibile o comunque agevolato dal fatto che la vittima si trovi a percorrere il tragitto naturale, vale a dire obbligato per raggiungere la sede lavorativa e, come tale, appunto, protetto dalla tutela assicurativa apprestata dall'ordinamento.”

Per la Cassazione l’atto doloso del terzo “spezza il nesso di occasionalità indispensabile ai fini della tutela, perché lo spostamento per motivi di lavoro rappresenta una mera coincidenza per essere la vittima esposta, di fatto, all'intento criminoso, ovunque si rechi o si trovi. Il discrimine per la protezione assicurativa del lavoratore aggredito nel percorso obbligato tra casa e sede lavorativa è dunque che il tragitto per o dalla sede lavorativa abbia semplicemente costituito il nesso di occasionalità necessaria con comportamenti del terzo sfociati in episodi delittuosi diretti a colpire vittime di un intento criminoso scelte a caso, agevolandoli o rendendoli possibili, mentre non costituisce evento protetto, meritevole della protezione assicurativa e solidaristica, la situazione di pericolo individuale che abbia esposto all'azione delittuosa dell'aggressore la sola vittima, per effetto dei rapporti interpersonali e, dunque, extralavorativi. Il percorso che separa l'abitazione della lavoratrice dal luogo di lavoro, il normale percorso obbligato per svolgere la prestazione, rientra nella protezione riconosciuta dalla legge che estende la tutela a tutti gli eventi in qualche modo collegati con la necessità del lavoratore, e della lavoratrice, di trovarsi nella situazione di rischio per obblighi nascenti dal contratto di lavoro coesistendo, dunque, la causa violenta e l'occasione di lavoro come fattore causale dell'infortunio, reso possibile o agevolato dalla presenza della vittima malcapitata, in un determinato posto, per ragioni lavorative.”

Ed ancora “la non estraneità dell'autore dell'efferato delitto e il movente personalizzato e non indiscriminato, diretto a colpire esclusivamente la vittima designata e non chiunque si fosse recato al lavoro quella mattina, hanno reciso qualsivoglia nesso con l'attività lavorativa e fatto assurgere a marginale il collegamento tra il tragico evento occorso e il tragitto obbligato.”

 La suprema corte ha chiusura del suo ragionamento giuridico ritiene che “In conclusione, agli effetti della protezione assicurativa l'aggressione è sempre ricompresa nell'occasione di lavoro anche quando non possa essere ricollegata, neppure indirettamente all'attività lavorativa svolta dall'assicurata, con l'unico limite dell'ipotesi in cui l'aggressione sia da ricollegarsi a ragioni extraprofessionali o a particolari rapporti tra vittima e aggressore, nel qual caso le circostanze lavorative costituiscono solo una delle possibili opportunità per porre in atto il movente delittuoso e perpetrare l'azione criminosa e tanto esclude che l'aggressione possa costituire evento protetto.” Cassazione Civile Sezione lavoro n. 31485 pubblicata il 03/11/2021

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.