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Diritto di cronaca e diritto alla tutela dell'onore e della reputazione

GUTTUSO Renato,Uomo con giornale

Il fatto.

il Tribunale di Roma rigettava le domande di risarcimento del danno e di applicazione della sanzione di cui alla L. n. 47 del 1948, art. 12 proposte da D.G. e dal C.L., nei confronti del direttore di un giornale quotidiano nazionale e della società editrice, che gli attori asserivano essere lesivo della loro reputazione.

Il Tribunale osservava che il contenuto dell'articolo dal titolo "Molestie sessuali all'ASL (OMISSIS) sotto accusa l'ex direttore" non esorbitava dai limiti del diritto di cronaca perchè, pur riportando la notizia inesatta della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio degli indagati per il reato di abuso di ufficio, era sostanzialmente veritiero, essendo stato notificato agli stessi indagati l'avviso di cui all'art. 415 bis cod. proc. pen..

La decisione è stata riformata dalla corte di appello. Il direttore del quotidiano e la società editrice hanno proposto ricorso in cassazione.

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza affermando la seguente massima giurisprudenziale:“In punto di diritto si rammenta - in conformità a principi ormai acquisiti dalla giurisprudenza di questa Corte a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259 - che per considerare la divulgazione di notizie lesive dell'onore, lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per violazione del diritto all'onore, devono ricorrere tre condizioni consistenti: a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purchè frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false; il che si esprime nella formula che "il testo va letto nel contesto", il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall'uomo medio (Cass. 14 ottobre 2008, n. 25157); b) nella sussistenza di un interesse pubblico all'informazione, vale a dire la cd. pertinenza (ex multis:Cass. 15 dicembre 2004, n. 23366; Cass. n. 15999/2001; Cass. n. 5146/2001); c) nella forma "civile" dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè la cd. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire ed essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, evitando forme di offese indiretta (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

In sostanza soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia di esso soddisfa all'interesse pubblico dell'informazione, che è la ratio dell'art. 21 Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, e riporta l'azione nell'ambito dell'operatività dell'art. 51 cod. pen., rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.

Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzostampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l'onore e la reputazione, anch'essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. e, segnatamente in materia di cronaca giudiziaria, deve confrontarsi, altresì, con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost.. In tale ordine concettuale la giurisprudenza penale di questa Corte è costante nel sottolineare il particolare rigore con cui deve essere valutata la prima delle condizioni sopra indicate, precisando che la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso (v. Cass. pen. 3 giugno 1998, Pendinelli; Cass. pen. 21 giugno 1997, Montanelli). L'esimente, anche putativa del diritto di cronaca giudiziaria di cui all'art. 51 cod. pen. va, dunque, esclusa allorchè manchi la necessaria correlazione tra il fatto narrato e quello accaduto, il quale implica l'assolvimento dell'obbligo di verifica della notizia e, quindi, l'assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonchè il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. pen. 14 febbraio 2005, n. 12859).

Il principio è stato rimarcato anche dalla giurisprudenza civile di questa Corte, secondo cui, nel caso di notizie lesive mutuate da provvedimenti giudiziari, il presupposto della verità dev'essere restrittivamente inteso (salva la possibilità di inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o aggravarne la valenza diffamatoria), nel senso che la notizia dev'essere fedele al contenuto del provvedimento e che deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto, senza alterazioni o travisamenti di sorta, non essendo sufficiente la mera verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. 20 ottobre 2009, n. 22190; cfr.anche Cass. 17 luglio 2007, n. 15887).

E se il presupposto dell'esistenza del diritto di cronaca è - come recita l'art. 2 della legge professionale 3-2-1963, n. 69 - "il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede" (comma 1) e fermo l'obbligo di rettificare "le notizie che risultino inesatte" (comma 2), è chiaro che il giornalista deve non solo controllare l'attendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative privilegiate), ma anche accertare e rispettare che la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia, la quale può dirsi non scalfita solo da inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o ad aggravarne la valenza diffamatoria (cfr. Cass. 04 luglio 1997, n. 6041).

In altri termini, perchè eventuali inesattezze possano considerarsi irrilevanti ai fini della lesione dell'altrui reputazione, esse devono riferirsi a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo (cfr. Cass. 18 ottobre 2005, n. 20140), occorrendo, in concreto, accertare se la discrasia tra la realtà oggettiva ed i fatti cosi come esposti nell'articolo abbiano effettivamente la capacità di offendere l'altrui reputazione. E questo costituisce un giudizio di merito che, se motivato in modo congruo e logico, resta immune da censure in sede di legittimità.”

Cassazione civile  sez. III   26/08/2014 ( ud. 23/06/2014 , dep.26/08/2014 ) Numero: 18264.

Nella foto: opera di Renato Guttuso  (Bagheria 26 dicembre 1911 –Roma 18 gennaio 1987). è stato protagonista della pittura sociale e neorealista raffigurando il mondo del lavoro. Parlamentare comunista, insignito del Premio Lenin per la Pace. Visse la sua parabola dalla rivoluzione bolvescica del 1917 al crollo del muro di Berllino del 1989.

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Numeri chiari, giustizia più rapida
I giudici del lavoro, nei tribunali e nelle corti d’appello, non amano confrontarsi con i numeri. Quando una causa richiede conteggi, la prassi è quasi sempre la stessa: nominare un consulente tecnico d’ufficio e adeguarsi alle sue conclusioni. Ma questo significa allungare i tempi e appesantire il procedimento con costi ulteriori.
Proprio perché questa è la realtà, il giuslavorista ha un dovere in più: presentare la parte economica del ricorso in modo chiaro, lineare e subito comprensibile. Se le pretese o le contestazioni sono esposte con semplicità e precisione, la consulenza tecnica può diventare inutile.
È un compito che non si può ignorare. Difendere un lavoratore o un’azienda significa anche saper trasformare principi giuridici in cifre leggibili, senza zone d’ombra. Il giuslavorista si misura qui: nello sforzo costante di rendere trasparenti i numeri della causa, perché solo numeri chiari possono portare a decisioni corrette con il diritto e le previsioni del CCNL.

 La rapidità come obbligo dello studio 
Nel diritto del lavoro la rapidità è imprescindibile. La legge prevede che, dopo l’impugnazione di un licenziamento o di un trasferimento, il ricorso debba essere depositato entro 180 giorni: decorso tale termine, il diritto si perde. È una scansione temporale rigida, che impone al lavoratore di non lasciare che il tempo eroda la propria tutela.
 La rapidità come necessità pratica
La stessa urgenza vale per le cause che riguardano differenze retributive o risarcimenti. In un sistema dominato da appalti ed esternalizzazioni, le imprese appaltatrici spesso si cancellano dal registro delle imprese subito dopo aver concluso l’affare, lasciando i lavoratori senza interlocutore. In questi casi occorre “battere sul tempo”: solo agendo tempestivamente la sentenza conserva un valore concreto e non si riduce, come le gride manzoniane, a un proclama destinato a restare lettera morta.

Buste paga e contratti collettivi: una specializzazione indispensabile

Nel diritto del lavoro, applicare correttamente i contratti collettivi e redigere le buste paga con precisione non è un dettaglio: è una linea di confine tra la tutela dei diritti e il rischio concreto di contenziosi. Per il lavoratore significa poter confidare che chi legge quei numeri veda anche ciò che non è detto: scatti di anzianità, indennità, straordinari, clausole contrattuali speciali — tutto ciò che si nasconde dietro le cifre.
Per l’azienda, invece, un errore — anche minimo — può costare doppiamente: dovrà ripagare somme già versate in difetto e versare differenze che il giudice riconosce per mancata corretta applicazione del contratto collettivo. In altri termini: un “risparmio scorretto” oggi può trasformarsi in un esborso ben più grave domani.
Ecco perché la specializzazione tecnica in contratti collettivi e paghe non è una mera opzione: è un’assicurazione per chi tutela i diritti dei lavoratori e una protezione per chi assume l’onere della compliance aziendale.

 

 

  La nostra forza: istituti retributivi  e numeri, un sapere unitario

 Leggere e interpretare le previsioni economiche di un contratto collettivo non è mai semplice. Non basta scorrere le tabelle: occorre   tradurre principi giuridici astratti nei calcoli che incidono sui diversi istituti retributivi. È un passaggio complesso, che richiede   conoscenza tecnica e visione giuridica.
 La difficoltà sta proprio qui: coniugare l’astrattezza del concetto con la concretezza del numero. È un’operazione che non può essere   spezzata, né divisa tra più mani. Se la si frammenta, si rischia di perdere la piena comprensione del sistema.
La nostra forza nasce da questa consapevolezza: costruiamo in modo unitario istituti giuridici e proiezioni economiche, senza scollature tra teoria e pratica. Diritto del lavoro e numeri camminano insieme, in un’unica lettura. Ed è proprio questa integrazione che rende il nostro lavoro affidabile, solido e capace di dare risposte certe a lavoratori e imprese.