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L'impugnazione del licenziamento é atto personale del lavoratore.

 

La corte di cassazione ribadisce che l'impugnazione del licenziamento é un atto personale del lavoratore. Se il licenziamento é impugnato dall'avvocato del lavoratore, il datore di lavoro deve avere conoscenza e copia di questo mandato entro il termine dei 60 giorni utili per l'impugnazione.

Il principio é stato così ribadito dalla Corte di Cassazione.

"Giova, innanzitutto, richiamare l'insegnamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 2179 del 1987, secondo cui in tema di licenziamento individuale, l'impugnativa che - secondo il disposto dell'art. 6 della legge n. 604 del 1966 - deve essere proposta dal lavoratore a pena di decadenza entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione dell'atto di recesso del datore di lavoro, costituisce un atto negoziale dispositivo e formale (essendo richiesta la forma scritta ad substantiam) che può essere posto in essere unicamente dal lavoratore medesimo (oltre che dall'associazione sindacale, cui quest'ultimo aderisca, in forza del potere di rappresentanza ex lege previsto dall'art. 6 cit.), da un rappresentante del primo munito di specifica procura scritta e quindi anche da un terzo, ancorché avvocato o procuratore legale sprovvisto di procura, il cui operato venga successivamente ratificato dal lavoratore sempre che tale ratifica rivesta la forma scritta e - come l'impugnativa - sia comunicata o notificata al datore di lavoro prima della scadenza del suddetto termine di decadenza. Consegue che, ove l'impugnativa del licenziamento sia proposta dal legale del lavoratore senza il rilascio da parte di quest'ultimo della detta procura scritta, il successivo ricorso giudiziario contenendo, con la relativa procura al difensore stesso che già abbia posto in essere il detto atto, la ratifica scritta del suo operato, deve essere notificato o comunicato al datore di lavoro nel termine di sessanta giorni di cui all'art. 6 cit. (conf. Cass. nn. 1231/88, 1036/90, 2785/90, 11812/90, 5611/97, 10712/97 e molte altre successive)."

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 gennaio – 23 aprile 2014, n. 9182.

 

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