08/01/2014
“ Prendete una legge, e schiettamente qual è in sé e per sé: io ne sono perciò anche al di là e posso fare così e così. Non la cosa è superiore, ma sono io superiore e sono il padrone, che al di sopra della legge e della cosa, scherza con esse come con il suo piacere e in questa coscienza ironica, nella quale lascio perire il Sommo, godo soltanto di me.”( G.F. Hegel, Fil. Del Dir., § 140).
Senza pretendere di esaurire in poche righe le complesse implicazioni e le plurime risonanze di questo passo tratto dall’hegeliana Filosofia del Diritto, ci si limita qui a fornire al lettore uno spunto di riflessione su di un problema oggi non del tutto inattuale: il desiderio del Soggetto di assurgere a misura e criterio dell’Universale e dell’Intero.
Per spunto di riflessione non intendiamo un’area oggettuale specifica e vincolante ma semplicemente quella che a ciascuno di noi, date le condizioni storiche particolari e la propria formazione e sensibilità, venga spontaneo associare alle parole del filosofo di Stoccarda.
Può risultare curioso che il concetto di ironia, di cui Hegel qui ci sta parlando, fosse servito al Romanticismo per descrivere l’attitudine creativa del genio, il quale nell’arte cerca di costruire un nuovo dominio del reale, un’alternativa ai limiti del già-esistente in cui egli non si riconosce.
In Hegel, invece, esso viene esteso dalla sfera ben delimitata dell’arte a quella dello spazio sociale, del diritto e dello stato, quella cioè in cui la legge dovrebbe operare come “l’universalità e la determinatezza del diritto; la verità in sé e per sé del diritto e del mondo etico, consaputa universalmente e in forma determinata, il giusto in quanto è dovere e legge.”( G.F. Hegel, Fil. Del Dir., prefazione).
Il concetto di ironia viene ora a predicarsi di quel Soggetto individuale, in sé non ancora compiutamente determinato, e sicuramente indeterminato sul piano dell’eticità, il quale è altresì essenzialmente disposto a dotarsi di tale determinazione attraverso un sovvertimento radicale e spregiudicato del reale già assurto a dignità di storia, di cultura e di istituzione giuridicopolitica.
A proposito dell’atteggiamento ironico, ossia di questa sorta di attività eminentemente dissolutiva e performatrice, Hegel altrove aggiunge: “qui il soggetto si sa in sé medesimo come l’Assoluto e non dà alcun peso a tutto il resto: esso sa distruggere sempre di nuovo tutte le determinazioni che esso stesso si dà del giusto e del bene. Esso può dare a intendere a sé ogni cosa ma non mostra altro che vanità, ipocrisia e sfrontatezza. L’ironia […] non prende sul serio, scherza con tutte le forme.”( G.F. Hegel, Geschichte der Phil., III, sez. 3, C, 3)
Decentramento strategico rispetto ad un contesto sociale già storicamente valido e giuridicamente posto, assenza di identità etica, ipocrita sfrontatezza finalizzata ad una palingenesi dei concetti-valore di giustizia e di legalità, disponibilità illimitata, quindi, alla stessa negazione di tutti quelli assunti e di quelle procedure che non corrispondano più alla mera autoaffermazione di sé sul Tutto, ecco delineati con acuta sensibilità analitica, gli atteggiamenti del Subiectus ironicus, questo mostro gelatinoso in cerca di una forma storica concreta, così desideroso di dare sempre maggiore legittimità e realtà alla radicale mancanza della sua origine; se esso infatti è per natura, − ma forse, chi sa, anche per arte − fuori dalla forma della legge e dall’eticità, per esistere realiter, egli non avrà che da divenire questa stessa legge, questa eticità diventarla.
Così esso farà verosimilmente di questo scopo il senso più urgente della propria esistenza e quando questo profondo moto del cuore dovesse paradossalmente compiersi ecco allora accadere il mirabile, ecco cioè come tutto ciò che prima era immediato, astratto, e privato potrà finalmente dispiegarsi come il vero ed il giusto e farsi concreto, universale, pubblico.
Milano 24/03/2010

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