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Il diritto tra realtà nazionale e dimensione comunitaria

tag  DIRITTO 

08/01/2014



Quando si parla di diritto, un riferimento esclusivo e limitato alla normativa nazionale sarebbe riduttivo e poco corretto, visto che il nostro Paese, unitamente ad altri fa, parte della Comunità Europea fin dal 1957, con la stipula del Trattato CE. Tra gli scopi del Trattato, vie era quello di costituire una realtà economica fondata sui principi della libera circolazione delle merci, delle persone, delle società, dei servizi e dei capitali. Il tutto è stato attuato nell’ambito di uno spazio che supera i limiti della zona di libero scambio, alla quale è stata preferita l’unione doganale con applicazione di un’unica tariffa sui prodotti di origine non comunitaria, adempiuta la quale vengono immessi in libera pratica.
L’obiettivo principale dei fondatori della CE era quello di far nascere un mercato unico, privo di barriere, o comunque tali da non ostacolare le libertà di cui si è parlato: le eccezioni, quali ad esempio l’ordine pubblico, la sicurezza, la salute e la moralità pubblica, avrebbero dovuto avere applicazione restrittiva.
Tali principi hanno necessitato svariati anni prima di trovare completa attuazione: si dovevano superare quelle restrizioni che gli Stati Membri conservavano quale retaggio del principio di sovranità nazionale a cui era davvero difficile porre limiti di origine internazionale. Il superamento di questi ostacoli è avvenuto in più fasi: attraverso lo strumento legislativo e soprattutto attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha saputo applicare in maniera estensiva ed efficace i principi del Trattato.
Nel corso del tempo sono seguite numerose modifiche al Trattato: l’Atto Unico Europeo, che attua il mercato unico; il Trattato di Maastricht, che crea l’Unione Europea; il Trattato di Amsterdam che rinomina la numerazione del Trattato CE; il Trattato di Nizza, che modifica in particolare l’articolazione giudiziaria della Comunità; il Trattato di Atene con le modifiche conseguenti all’allargamento della Comunità ai Paesi dell’Est. L’iter delle modifiche è vasto ed in continua evoluzione: si pensi solo alla questione concernente l’adesione della Turchia, per non parlare poi della Costituzione Europea, o meglio Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, non entrato in vigore e non ratificato da alcuni dei più importanti Paesi Membri, quali la Repubblica Francese. Insomma, in Europa si lavora, si crea e si modifica e se non si interviene in via normativa è la Corte di Giustizia (espressione con la quale si intende indicare la Corte di Giustizia, il Tribunale di Primo Grado ed il Tribunale della Funzione pubblica) a cercare, in via pretoria, di rendere nel modo più efficace possibile i principi del Trattato. Non si deve e non si può considerare la Comunità Europea quale entità staccata dalla realtà nazionale: anzi, gli Stati Membri sono chiamati a dare attuazione costante al diritto comunitario, attraverso l’applicazione diretta dei regolamenti (che entrano in vigore in ciascuno Stato allorché entrano in vigore in Europa, senza bisogno di atti di recepimento), l’attuazione-recepimento delle direttive ed il rispetto dei principi contenuti nelle sentenze. La Comunità Europea è una Comunità di diritto, nella quale sono soggetti non solo gli Stati Membri e le Istituzione Comunitarie, ma anche le persone fisiche e giuridiche, destinatarie di diritti e doveri di origine comunitaria suscettibili di protezione giurisdizionale, sia a Lussemburgo (sede della Corte di Giustizia), che dinanzi le istanze giudiziarie nazionali.
A quest’ultimo proposito si deve sottolineare che il giudice naturale del diritto comunitario è proprio il giudice nazionale, chiamato ormai costantemente ad applicare direttamente (come nel caso dei regolamenti), o indirettamente (come nel caso delle direttive) il diritto comunitario. Questo naturalmente vale in ogni settore del diritto regolamentato a livello sopranazionale. A garantire il raccordo e l’uniformità dell’applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici interni è destinato il rinvio pregiudiziale, attraverso il quale il giudice nazionale di una controversia può – o deve in alcuni casi – sottoporre alla Corte di Giustizia una questione relativa all’interpretazione o alla validità di norme comunitarie, qualora ciò sia necessario ai fini della decisione della controversia.
Il raccordo tra dimensione comunitaria e nazionale è costante anche perché tanto le istituzioni comunitarie che quelle nazionali sono obbligate a cooperare in virtù del principio di leale cooperazione previsto dallo stesso Trattato CE. Il momento in cui tale intersecazione meglio si manifesta è di sicuro quello in cui il giudice interno, di fronte ad una norma nazionale incompatibile con una norma comunitaria, è tenuto a disapplicare la normativa interna e a dare applicazione a quella comunitaria. Questo significa che il diritto comunitario prevale su quello interno: è proprio il giudice il soggetto che svolge con maggiore assiduità e frequenza il compito di procedere al costante adattamento del diritto interno al diritto comunitario. Tra i settori in cui il diritto comunitario ha svolto e svolge la sua funzione preponderante di uniformatore di sicuro spicca il diritto del lavoro. Non a caso una delle libertà fondamentali previste dal Trattato CE è proprio la libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità. Anzi, prima che la giurisprudenza – e di seguito il legislatore- intervenisse ed estendesse questa libertà al semplice fatto dell’essere cittadini, la possibilità di circolare liberamente in tutto il territorio comunitario era agganciata alla qualità dell’essere un lavoratore subordinato. Solo successivamente il principio di libera circolazione è stato esteso al semplice fatto dell’essere cittadino europeo.
Questo significa che i lavoratori, o anche aspiranti tali, possono svolgere la propria attività lavorativa in qualsiasi Stato Membro alle stesse condizioni dei lavoratori cittadini dello Stato ospitante. Non è ammessa alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto riguarda l’avviamento, lo svolgimento del rapporto di lavoro e la retribuzione. Unici limiti, da intendere comunque in maniere restrittiva, sono giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. A dare una definizione di lavoratore subordinato, beneficiario della libera circolazione, ha pensato la Corte di Giustizia ormai parecchi anni fa. In tal modo la Corte ha evitato che diverse interpretazioni sulla nozione di lavoratore potessero ostacolare la piena applicazione della libertà di circolazione. A livello comunitario è lavoratore subordinato colui che per un certo periodo di tempo e dietro retribuzione si impegna a fornire una prestazione lavorativa in favore e sotto la direzione del datore di lavoro. Tale definizione uniforme è particolarmente ampia e non si discosta affatto da dalla definizione che è solita dare la nostra Corte di Cassazione. Della libertà di circolazione e di soggiorno beneficiano anche i congiunti del lavoratore cittadino europeo, anche qualora siano di nazionalità extracomunitaria. 
La Corte di Giustizia ha nel tempo spiegato in che modo debba intendersi la libertà di circolazione dei lavoratori; in primo luogo la nozione di lavoratore comprende anche colui che aspira a diventare tale, e quindi colui che si sposta per rispondere ad offerte di lavoro ed anche per cercare di trovarlo. In quest’ultimo caso il cittadino europeo potrà rimanere nello Stato Membro ospitante per tutto il tempo necessario per cercare lavoro. In secondo luogo la prestazione lavorativa può essere la più svariata, purché remunerata: anche un’attività sportiva e l’essere ad esempio calciatore conferisce lo status di lavoratore subordinato beneficiario dei diritti del Trattato. In terzo luogo la prestazione lavorativa deve essere collegata ad uno dei Paesi Membri, nel senso che l’attività deve essere svolta prevalentemente nel territorio comunitario (anche su una nave, che dato il principio della bandiera, è prolungamento del territorio di uno Stato). In quarto luogo non è necessario che da questa attività derivi un reddito superiore al minimo vitale: ciò che importa è che tale attività lavorativa non sia così saltuaria da considerarsi fittizia od irrisoria. Soddisfatti questi requisiti il lavoratore avrà diritto ad una serie di diritti, quali: soggiornare nello Stato Membro, circolare liberamente, godere dei benefici previdenziali ed assistenziali dei cittadini (per le donne in gravidanza, se previsto per le cittadine, godere degli assegni di maternità), beneficiare degli ammortizzatori sociali, quali ad esempio la cassa integrazione o l’assistenza nel ricollocamento in caso di licenziamento. Allo stesso modo anche i figli minorenni beneficeranno dei tutti gli incentivi previsti per i figli dei lavoratori cittadini dello Stato ospitante: borse di studio, sussidi, assistenza sanitaria e così di seguito. 
Per completare la libera circolazione dei lavoratori il Trattato impone agli Stati Membri di adottare misure di sicurezza e previdenza sociale (quali appunto la pensione) che sono inevitabilmente connesse ed intrinseche alla libera circolazione: nessun lavoratore emigrerebbe per lavorare in un altro Stato della CE se poi negli altri Stati non venissero riconosciuti i periodi contributivi maturati in un altro Stato Membro per la pensione. Tale limite impedirebbe l’applicazione del principio della libera circolazione dei lavoratori che di fatto non troverebbe alcuna applicazione. In materia di previdenza sociale a livello comunitario si prevede che si debbano cumulare tutti i periodi di lavoro disciplinati di volta in volta dalle diverse norme nazionali, per il sorgere, il maturare, il calcolare, il conservare e finalmente pagare le prestazioni previdenziali alle persone residenti nei territori degli Stati Membri.
Oltre ai limiti dell’ordine pubblico, di sanità e sicurezza pubblica, la libera circolazione dei lavoratori conosce un’ulteriore restrizione: l’impiego nella pubblica amministrazione. Anche questa deroga, appunto perché tale, è stata interpretata dalla Corte di Giustizia in senso restrittivo, nel senso che si escludono dalla libera circolazione dei lavoratori coloro che svolgono un’attività che comporta una partecipazione all’esercizio del potere pubblico (esercito, magistrati, forze armate). In questo caso l’essere cittadini dello Stato Membro è necessario in quanto occorre che sussista un forte senso dello Stato, ed uno stretto rapporto di fiducia tra le Istituzioni pubbliche ed il lavoratore che solo la cittadinanza è in grado garantire. Si esclude comunque che il limite valga per gli insegnati delle scuole pubbliche, per gli Avvocati, i medici. Nel caso in cui, invece, un certo tipo di lavoro comporti una certa partecipazione all’esercizio del potere pubblico occorre guardare all’attività svolta con prevalenza.
Nel corso del tempo il legislatore comunitario è intervenuto in via legislativa ad armonizzare svariati settori applicativi, quali in particolare il diritto del lavoro. Si è intervenuti in genere con lo strumento della direttiva in quanto più morbido: si tenga presente infatti che la direttiva è un atto che ha come destinatari solo gli Stati Membri ed impone loro di adempiere a determinati obblighi, lasciandoli invece liberi nella scelta dei mezzi. La direttiva impone quindi un obbligo di risultato da raggiungere entro un preciso termine di scadenza. Nel diritto del lavoro gli interventi del legislatore comunitario sono stati più che frequenti e ben incisivi. Si è legiferato in materia di pari opportunità, di parità di trattamento tra uomo e donna, di orario di lavoro, di lavoro notturno, di lavoro a distacco, di trasferimento di azienda, di protezione dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, di obbligo per i datori di informare i lavoratori delle condizioni applicabili al contratto ed al rapporto di lavoro; così come l’armonizzazione a livello comunitario è intervenuta anche in relazione al lavoro a tempo parziale ed a tempo determinato.
Il breve riassunto su come il diritto comunitario ha influito e continua ad influire sulla normativa interna serva al lettore che, a digiuno da qualsiasi nozione di Diritto dell’Unione Europea, voglia capire come funziona il nostro Paese in quanto parte della CE, quali ne sono le conseguenze, gli eventuali vantaggi e se mai ve ne fossero anche svantaggi. Si cerchi di capire quindi che sempre più spesso le norme alle quali i nostri giudici danno applicazione sono di origine comunitaria, nel senso che ne sono attuazione o diretta applicazione. Così come pure si cerchi di comprendere che l’essere parte della Comunità è fonte non solo di obblighi, ma anche di diritti che possono trovare protezione giurisdizionale davanti ai nostri giudici.

Milano 23/07/2007

 

 

 

 

 

 

  

 
 
IL NUOVO PALAZZETTO DI GIUSTIZIA A MILANO

Dalla metà di luglio 2015 è operativo il nuovo Palazzetto di Giustizia di Milano, in via San Barnaba 10, di fronte al tradizionale Palazzo di Giustizia ma sul lato opposto rispetto all’ingresso di corso di Porta Vittoria.
Qui si sono trasferite la Sezione Lavoro (2° piano) e la Sezione Famiglia (piano terra) del Tribunale; successivamente anche le corrispondenti sezioni della Corte d’Appello. Un’ala dell’edificio è occupata dall’Agenzia delle Entrate.
L’immobile è moderno (ampie vetrate e strutture in acciaio), con uffici luminosi, corridoi adeguati ai flussi, sedute per l’attesa e climatizzazione in tutti i locali. Struttura adeguata alle esigenze dell’amministrazione della giustizia.

 

Accesso telematico e in remoto ai dati dello studio

Il nostro studio per rendere sempre più efficienti i suoi servizi, ha attivato un sistema di accesso ai dati in remoto. Questo accesso consente al cliente, dalla propria sede o abitazione di consultare il fascicolo con i documenti e i dati giudiziari che si riferiscono alla sua controversia. In questo modo si  consente al cliente di essere costantemente aggiornato sull'iter processuale della sua posizione. I documenti e gli atti piu importanti della casua (verbali di udienza, ordinanze, sentenze, verbali di conciliazione) sono visibili e scaricabili con facilità. Tutti i dati sono così a disposizione del nostro assistito che, in qualsiasi momento, può liberamente consultarli e stamparne copia. Il sistema dell'accesso remoto avviene tramite Internet. Le modalità di accesso sono molto semplici ed immediate. Se la  password personale  non dovesse essere ancora in vostro possesso, richiedetela che vi sarà trasmessa con la esatta descrizione della procedura da seguire.