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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

il datore di lavoro deve dare la prova di non potere altrimenti occupare il lavoratore

La corte di cassazione ha confermato il suo precedente indirizzo in materia di onere probatorio sulla legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La corte ha così sintetizzato il principio.
“Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’onere della prova relativo all’impossibilità di impiego del dipendente licenziato nell’ambito dell’organizzazione aziendale - concernendo un fatto negativo - deve essere assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica (Cass. n. 12037 del 2003, Cass. n. 10527 del 1996, Cass. n. 3030 del 1999); detto onere, ha precisato la Corte, che grava per intero sul datore di lavoro, deve essere comunque mantenuto entro limiti di ragionevolezza, sicché esso può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria (Cass. n. 777 del 2003, Cass. n. 13134 del 2001, Cass. n. 8207 del 2000), con l’ulteriore precisazione che il lavoratore, pur non avendo il relativo onere probatorio, che grava per intero sul datore di lavoro, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di repechage (Cass. n. 12037 del 2003, Cass. N. 8396 del 2002, Cass. n. 10559 del 1998, Cass. n. 8254 del 1992).”
(Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 18 dicembre 2007 – 19 febbraio 2008, n. 4068).

Milano 10 gennaio 2008.

Nella foto: arte sovietica

Avv. Biagio Cartillone
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