11/05/2019
Un ex fidanzato è stato condannato dal Tribunale al pagamento di un'ammenda per il reato di molestie o disturbo alle persone perché con il telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, recava molestie e disturbo alla sua ex fidanzata inviandole alcuni massaggi dalla telefonia mobile. Il fidanzato abbandonato si è difeso sostenendo che nella sua condotta di invio dei messaggi non fosse ravvisabile alcun motivo biasimevole perché i messaggini rappresentavano uno sforzo per riattivare la relazione sentimentale e non avevano il fine di interferire in maniera inopportuna nella sfera di libertà dell'ex fidanzata, per petulanza o per altro biasimevole motivo. A fronte di 15 messaggi inviati era stato accertato nella causa che solo 2 di essi avevano contenuto valutabile come offensivo.
La Cassazione ha dato ragione all'ex fidanzato e lo ha assolto perché il fatto non costituisce reato.
Nella sua sentenza la Cassazione ha sentito l'esigenza di premettere che "il reato di molestie o di disturbo alla persona mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità, attuato mediante l’offesa alla quiete privata. Pertanto, rispetto alla contravvenzione in discorso, viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata; onde l’interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa, cosicché la tutela penale viene accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate ".
Il disturbo può essere realizzato anche con una sola azione. Ai fini della sussistenza del reato di intenti persecutori i motivi per i quali sono stati posti in essere sono del tutto irrilevanti "una volta che si sia accertato che, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone."
Dopo aver enunciato questi principi, la Cassazione ha ritenuto "che nel fatto concreto descritto dalla sentenza impugnata non sia ravvisabile il dolo, in quanto il Tribunale ha evidenziato che la condotta dell’imputato si colloca nella fase di cessazione di una relazione personale in cui la persona offesa aveva continuato a ricevere i messaggi e le telefonate dell’ex fidanzato, senza attivare sul proprio apparecchio cellulare alcun sistema di blocco dei messaggi provenienti da quella determinata utenza; inoltre, solo due dei 15 messaggi hanno un obiettivo contenuto offensivo, mentre gli altri sono mera manifestazione di gelosia verso i nuovi frequentatori della donna, come si evince dal chiaro significato dei messaggi indicati nella sentenza impugnata.
Il Tribunale non ha evidenziato profili che possono assumere rilievo per caratterizzare il dolo di petulanza dei messaggi, ma solo i tratti della possibile molestia degli stessi.
Assume certamente rilievo il fatto oggettivo evidenziato dalla difesa dell’imputato che sul telefono della persona offesa non sia stato attivato il blocco dei messaggi. Questi, infatti, erano tutti generati dall’utenza intestata all’imputato, per come ha accertato il Tribunale a pag. 3 della sentenza impugnata, sicché (nome omissis). aveva effettuato gli ulteriori invii nella situazione psicologica di colui che sa che gli stessi continuavano ad essere ricevuti dalla donna, con la quale intendeva superare quella fase di allontanamento e continuare così il rapporto sentimentale e, per come si evince dalla complessiva descrizione della vicenda che il giudice di merito colloca nella relazione personale sospesa per volontà unilaterale della donna, costei aveva continuato a ricevere dall’imputato non telefonate (come erroneamente scritto in sentenza) bensì alcuni SMS (15) in 75 giorni, che esprimevano essenzialmente amarezza provocata dalla interruzione del rapporto, gelosia e volontà di incontrare di nuovo l’ex fidanzata per riallacciare la relazione.
In definitiva, impediscono la configurabilità stessa del reato contestato l’assenza di motivazione nella sentenza impugnata sul profilo della petulanza del reato in oggetto e l’impossibilità di ravvisare nei fatti esposti il tipico atteggiamento psicologico inerente alla petulanza del comportamento o ad altro biasimevole motivo che possa caratterizzare l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 660 c.p., consistente nella volontà effettiva dell’imputato di interferire nella sfera di libertà dell’altro, fino al punto di determinarlo ad invocare aiuto."
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza n. 18216/19; depositata il 2 maggio
Pandora, la prima donna della mitologia greca che inaugura la discriminazione di genere
Narra un mito greco che la prima donna mandata sulla terra dagli dei fosse Pandora, e che fosse stata inviata per punire gli uomini della loro superbia. In un tempo lontanissimo, infatti, sulla terra esistevano solo esseri di sesso maschile, quando l’eroe Prometeo (colui che guarda avanti), amico degli uomini, volle portar loro il fuoco e quindi il progresso. Gli dei, irati per questo atto di disobbedienza, condannarono Prometeo ad una pena atroce e gli uomini ad aver bisogno delle donne. A Pandora gli dei avevano donato sia un bell’aspetto che un cuore menzognero ed un’indole ambigua. La prima donna era stata definita “un male così bello” che nessuno le poteva sfuggire. Ora, il fratello di Prometeo, che si chiamava Epimeteo, un giovane impulsivo che non pensava alle conseguenze delle sue azioni ( il suo nome significa “vedo dopo”), si invaghì di Pandora e la portò nella sua casa. Alla donna era stato detto che non avrebbe dovuto mai aprire un certo vaso: quale migliore raccomandazione per cedere alla tentazione di aprirlo? Il vaso venne aperto. Fu così che tutti i mali, prima sconosciuti agli esseri umani, si diffusero sulla terra. Ma, per fortuna, sul fondo del vaso rimase attaccata solo la speranza, unica consolazione per l’umanità.
Il mito greco con questa narrazione ci fornisce la spiegazione sulle ragioni della differenza di genere attribuendo la radice di tutti i mali del mondo alla donna. Nella mitologia greca e nei secoli successivi, la posizione della donna è stata sempre connotata da emarginazione e discriminazione perché nel pensiero filosofico le si è attribuita la causa di tutti i mali del mondo. La donna nella nostra storia meno recente non ha mai avuto ruoli, tranne rarissimi casi. A questa concezione negativa della mitologia greca fa da parallelo, sulla riva opposta del mare Egeo, anche la narrazione del libro della genesi con la figura di Eva che, con il suo comportamento, ha causato la sua definitiva cacciata, insieme a quella di Adamo, dal paradiso terrestre. La cultura occidentale moderna affonda le sue radici nella storia e nei valori greco-giudaico-cristiani. Ben si comprende, quindi, la dura lotta delle donne per conquistare nell'epoca moderna la parità di genere sul lavoro. Pandora ed Eva, anche ai giorni nostri, costituiscono il subconscio e la subcultura con cui occorre confrontarsi nella lotta quotidiana per conquistare la parità di genere nella società, nelle istituzioni e anche sul luogo di lavoro.
Divieto di discriminazione
è vietata la discriminazione fondata sul sesso avente ad oggetto:
l'accesso al lavoro, il trattamento retributivo, i premi, la qualifica, le mansioni, la carriera e ogni altro aspetto del trattamento economico e normativo.
la discriminazione può essere diretta o indiretta. La discriminazione indiretta si ha quando un comportamento o una condotta che appaiono essere neutri in realtà discriminano in ragione del sesso.
Dimissioni e maternità
La risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio. A detta convalida e' sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro.