08/01/2014
Il fenomeno dello stalking (altrimenti detto “sindrome del molestatore assillante”) ha iniziato a destare preoccupazioni verso la fine degli anni’80 e consiste in un insieme vario di comportamenti persecutori quali aspettare la propria vittima sotto casa o fuori dall’ufficio, pedinarla, inseguirla, inondarla di telefonate o sms. Dal punto di vista etimologico, il gerundio anglosassone stalking è espressione presa dal linguaggio venatorio (“inseguire furtivamente la preda”) e rende molto bene l’idea di chi si apposta per stanare la propria preda. Si tratta di una vera e propria persecuzione, in grado di limitare anche sensibilmente la libertà e la privacy della vittima arrivando a sconvolgerle l’esistenza.
I molestatori spesso hanno avuto una relazione con la vittima, mentre più raramente sono perfetti sconosciuti incontrati per caso o per motivi di lavoro. I criminologi, che da tempo studiano il fenomeno, ne hanno individuato diverse tipologie. Una prima tipologia di stalker è quella del “risentito” il cui comportamento si caratterizza dal desiderio di vendicarsi di un danno o torto subito; un secondo tipo è denominato “il bisognoso d’affetto” il cui unico desiderio è quello di intrecciare una relazione amorosa con la vittima. Una terza tipologia di persecutore è invece definita “il corteggiatore incompetente”; costui a causa della sua totale incompetenza circa i rapporti con l’altro sesso tiene un comportamento opprimente se non addirittura aggressivo nei confronti della vittima. Molto frequente è la figura del “respinto”, in genere un ex fidanzato che oscilla tra il desiderio di ristabilire la relazione e quello di vendicarsi per l’abbandono subito. Infine l’ultima categoria di stalker individuata è quella del “predatore” il cui obiettivo è quello di avere rapporti sessuali con la vittima che magari non conosce o di cui è solo amico. Secondo le statistiche le donne vittime di stalking sono più frequentemente donne che al momento della persecuzione non hanno una relazione stabile ed il cui livello di istruzione è più elevato rispetto a quello dello stalker. Sono individuabili anche diverse categorie di vittime: la “vittima personale” si caratterizza per aver avuto una relazione d’amore o d’amicizia con lo stalker che vuole riconquistarla o vendicarsi di lei; la “vittima per professione” che appartiene alle c.d. professioni d’aiuto (quali medici, psicologi, assistenti sociali etc.); la “vittima mediatica” che è un personaggio famoso di cui lo stalker è fan; e infine la “vittima conoscente” che è una persona estranea con cui il persecutore non ha alcun legame reale ma con cui pensa di avere intrecciato un rapporto ideale.
Per quanto riguarda le reazioni delle vittime allo stalking si è visto che in un primo momento queste generalmente sottovalutano il problema assumendo un atteggiamento accomodante nei confronti del proprio persecutore nella vana speranza che questo desista. Il comportamento migliore da tenere in tali casi è invece quello di respingere in maniera ferma lo stalker cercando di essere il più possibili distaccati e indifferenti. Si consiglia inoltre, di adottare i c.d. comportamenti prudenti per evitare il più possibili situazioni di rischio e di raccogliere più dati possibili sulle persecuzioni subite anche ai fini della denuncia alle autorità competenti.
Il reato di stalking, o atti persecutori, è stato introdotto nel nostro ordinamento soltanto nel 2009. Prima di allora l’unico strumento per tutelare la vittima era costituito dalla più blanda contravvenzione di molestia o disturbo alle persone prevista dall’art. 660 c.p. Particolarmente significativa è la scelta del legislatore di introdurre all’interno del codice penale e in particolare tra i delitti contro la libertà morale, subito dopo il reato di minacce, la nuova fattispecie incriminatrice. Il nuovissimo art. 612 bis del codice penale intende dunque tutelare la libertà morale dell’individuo intesa come libertà di autodeterminazione e prevede che:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.” Il legislatore con questa nuova norma ha perseguito un duplice scopo: da un lato contrastare la continuazione degli atti persecutori invasivi della sfera personale altrui e dall’altro impedire che tali atti potessero degenerare mettendo a repentaglio l’incolumità fisica della vittima.
La condotta delittuosa consiste in minacce o molestie che cagionino alla persona offesa un “grave disagio psichico”, come forme patologiche di stress clinicamente accertate, ovvero il timore per la propria incolumità, o ancora la costringano a cambiare le proprie abitudini di vita.
Si tratta pertanto di un reato sia di evento che di danno, la cui sussistenza dipende- come ben illustrato dalla giurisprudenza di merito e in particolare dal Tribunale di Bari nell’ordinanza del 6 aprile 2009- non dalla mera realizzazione (ancorché reiterata) di atti di minaccia o molestia, ma dal verificarsi, in capo alla vittima, di uno dei tre eventi naturalistici del reato che riguardano rispettivamente il piano strettamente psicologico (“il perdurante stato di ansia e di paura”), il piano fisico-biologico (“fondato timore per la propria incolumità”) e, infine, il piano del danno alla libera autodeterminazione (“costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita”).
La nuova fattispecie consente di attribuire la giusta rilevanza a comportamenti troppo spesso minimizzati anticipando la soglia d’intervento penale rispetto a condotte potenzialmente prodromiche ad altre più gravi e lesive per l’autodeterminazione della vittima. Inoltre le rigorose sanzioni previste attribuiscono alla norma una funzione deterrente rispetto a comportamenti che in precedenza, in quanto riconducibili prevalentemente alle fattispecie di molestie o minacce, non erano puniti con il dovuto rigore.
La norma prevede poi delle aggravanti ad effetto comune, per le ipotesi in cui il reato sia commesso da persona legata alla vittima da particolari rapporti affettivi, come nel caso in cui l’autore sia l’ex partner o comunque il coniuge divorziato o separato (ancorché solo legalmente). La pena è inoltre aumentata fino alla metà se il fatto è commesso nei confronti di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità, od anche da persona armata o travisata. Per queste ultime ipotesi, il legislatore, considerata la maggiore vulnerabilità delle categorie, ha previsto la procedibilità d’ufficio, diversamente dalle ipotesi ordinarie per le quali la procedibilità è a querela della persona offesa nel termine di sei mesi, analogo al termine previsto per i reati sessuali.
La condotta dello stalking deve essere reiterata, nel senso che gli atti devono succedersi nel tempo e, trattandosi di un reato abituale, la reiterazione in un certo lasso di tempo è elemento costitutivo. Pertanto i singoli atti, se posti in essere in una singola occasione, non integrano il reato ex art. 612-bis, ma le fattispecie delittuose più tradizionali della molestia o minaccia. Comunque, proprio al fine di colmare le precedenti lacune di tutela presenti nell’ordinamento, il legislatore non ha apposto vincoli temporali entro i quali ricondurre la ripetizione delle condotte tipizzate. A tale proposito si è assistito ad un’evoluzione della giurisprudenza, in particolare quella di legittimità, che ha inasprito la propria linea interpretativa; la Cassazione Penale, intervenendo sul dibattito circa il numero di atti necessari per integrare il reato ha affermato, nella sentenza n. 25527 del 2010, che sono sufficienti anche solo due atti di molestia per far scattare la protezione della vittima.
Il legislatore ha fornito alla vittima di stalking una strada alternativa, rispetto alla querela ex art 612-ter, per ottenere protezione dall’ordinamento; ha infatti introdotto all’art. 612-ter c.p. il c.d. “Ammonimento del Questore”. La vittima che non ha ancora proposto querela ex art. 612-bis c.p. ha facoltà di rivolgere al Questore istanza di ammonimento contro il suo persecutore. Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione del reato, il Questore invita l’indagato a tenere una condotta conforme alla legge e redige processo verbale. Qualora, nonostante la diffida formale l’indagato commetta nuovi atti persecutori, espressamente denunciati all’autorità, il reato diventa perseguibile d’ufficio e la pena detentiva è aumentata fino a sei anni.
Da ultimo estremamente interessante è il “Divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa”, nuova misura cautelare prevista dall’art. 282-ter c.p. Essa costituisce l’aspetto sostanziale della tutela penale anticipata offerta dal reato di stalking. Si tratta di uno strumento cautelare volto ad interrompere le condotte persecutorie previste dall’art. 612-bis c.p. già prima della verifica processuale e dell’accertamento della responsabilità penale dell’indagato.
Milano 09/02/2012
Nella foto: opera di Egon Schiele (1890 -1918), espressionista, muore a 28 anni per l'influenza spagnola. L'epidemia in Europa quell'anno conta oltre venti milioni di morti.
La donna nella Grecia classica e dintorni
Da Ippocrate in poi, molte teorie venivano formulate dalla medicina greca a proposito della capacità riproduttiva della donna, ed alcune erano estremamente fantasiose.
Si pensava infatti che l’utero “vagasse” per il corpo femminile se la donna non aveva rapporti e che quindi l’unico rimedio fosse il matrimonio.
Nel frattempo, alcuni medici consigliavano di legare la donna su una scala a testa in giù e scuoterla finché l’utero non fosse ritornato nella sua sede naturale; oppure, se era arrivato al cervello, si cercava di farlo scendere facendo annusare alla malcapitata sostanze maleodoranti. E così via.
La donna nubile era considerata con malevolenza all’interno della famiglia, in cui non aveva un ruolo preciso; solo sposandosi, acquisiva uno status sociale consono.
Anche il pensiero filosofico non era da meno riguardo alla differenza di genere: lo stesso Platone (considerato impropriamente paladino della parità tra maschio e femmina) riteneva che, per la teoria della reincarnazione, se un essere di sesso maschile operava male nella vita si sarebbe ritrovato dopo la morte ingabbiato in un corpo femminile.
Ad Atene, pur essendo il matrimonio monogamico, l’uomo poteva avere ben tre donne: la moglie, che gli assicurava la legittimità dei figli, una concubina ed una etera, che lo accompagnava nei banchetti pubblici ed era in grado di conversare di svariati argomenti. La moglie, anche se non era relegata in casa, non aveva occasione di intessere relazioni sociali, ma era isolata nell’ambito della famiglia, priva di una vera educazione e di possibilità reali di socializzazione.
Anche ai giorni nostri, le donne devono fronteggiare sul lavoro il mobbing e la discriminazione di genere. Non è difficile comprendere perché ciò possa avvenire, considerati anche questi precedenti storici dei nostri antenati scientifici, letterari e filosofici che, pur nella loro cultura, hanno sempre attribuito alla donna un ruolo marginale e di sottomissione.
Nella foto: vaso greco che raffigura la nascita di Bacco dalla coscia di Zeus; aspirazione all'autosufficienza maschile. Opera esposta nel museo nazionale archeologico di Taranto.