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Se licenzi per motivi organizzativi non puoi assumere un altro per sostituirlo

I motivi devono essere seri e meritevoli di tutela giuridica

Il Fatto

La Corte di Appello di Torino, accoglieva la domanda di una  lavoratrice, avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento oggettivo intimatole  dal datore di lavoro con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche di cui alla tutela reale.

La Corte di appello a base alla sua decisione  ha posto il rilievo fondante della sua decisione secondo il quale la deduzione del datore di lavoro, svolta in sede di costituzione nel giudizio di primo grado, secondo la quale per realizzare una più efficiente ed economica organizzazione aziendale si era proceduto a sopprimere la posizione della lavoratrice D. - addetta al ciclo passivo ed alla registrazione delle fatture - unificandola a quella della dipendente L., non era idonea a giustificare il licenziamento in quanto era emerso, a seguito dell'acquisizione del libro matricola - determinata dalla circostanza che in quello prodotto non era riportata la posizione di tale ultima lavoratrice - e dei contratti di lavoro da costei stipulati con la società, che detta dipendente era stata assunta dal 1 febbraio 2006 con vari contratti a termine e,poi, dal 1 dicembre 2008 con contratto a tempo indeterminato. Tanto, secondo la Corte di appello, dimostrava la necessità per il datore di lavoro, al momento del licenziamento, di una unità in organico che si occupasse stabilmente di mansioni di addetta al ciclo passivo e di registrazione delle fatture.

Avverso questa sentenza il datore di lavoro ha proposto ricorso in cassazione.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso così argomentando:

“Passando all'esame della rimanenti censure, che per la loro stretta connessione da punto vista logico e giuridico possono essere trattate unitariamente, rileva la Corte che le stesse sono infondate. Occorre, preliminarmente, rilevare che il licenziamento determinato, come nella specie, dalla dedotta soppressione del posto di lavoro a cui era addetto il lavoratore licenziato, intanto è giustificato solo ed in quanto vi sia l'effettiva stabile soppressione del posto di lavoro e l'impossibilità di poter diversamente utilizzare il dipendente. La valutazione da parte del giudice della legittimità di un licenziamento di tale genere implica, quindi, necessariamente sia per quanto riguarda l'effettività della soppressione del posto di lavoro che l'impossibilità di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato, un analisi della organizzazione aziendale, ma tanto non sta a significare che il giudice valuta l'opportunità della scelta di organizzare in certo modo la propria azienda, sta a significare, piuttosto, la verifica, sul piano della effettività, della causa giustificatrice posta a base del licenziamento.

In tale ottica la scelta imprenditoriale di sopprimere il posto di lavoro e di organizzare diversamente la propria azienda resta, pertanto, insindacabile nei suoi profili di congruità e necessità.

Quello che è oggetto del sindacato giudiziale, e giova ribadirlo, è l'effettività della scelta datoriale.

Tanto precisato conviene ora osservare che la Corte del merito, nel considerare non giustificato il licenziamento in esame, non travalica affatto i limiti del proprio sindacato in quanto, non valuta la congruità della scelta imprenditoriale di sopprimere il posto di lavoro, ma accerta, nei limiti del sindacato che gli è proprio, la non effettività della dedotta soppressione del posto di lavoro.

Infatti la Corte territoriale pone a base del proprio decisum il rilevo secondo il quale la stipula, dopo il licenziamento, di successivi contratti a termini con la L. - assunta, poi, a tempo indeterminato- alla cui posizione lavorativa la società aveva allegato di aver unificato quella della dipendente licenziata, rivela la esigenza dell'azienda di dover utilizzare in modo stabile la posizione lavorativa soppressa.

Ciò che accerta la Corte di appello è,quindi, la non effettività della scelta - ossia della soppressione.

D'altro canto va considerato che la stipula, dopo il licenziamento della D., come accertato dalla Corte del merito, di altri successivi contratti a termine con la L. - la quale venne infine assunta a tempo indeterminato - per lo svolgimento della stessa attività prima svolta dalla lavoratrice licenziata è circostanza idonea ad attestare la illegittimità del licenziamento dovendosi ritenere, che ai fini della legittimità del licenziamento per giustificatomotivooggettivo intimato per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato deve risultare, ai fini dell'effettività della soppressione, che il datore di lavoro non ha effettuato per un congruo periodo di tempo successivo al recesso alcuna nuova assunzione per lo svolgimento di mansioni inerenti la posizione di lavoro soppressa (Cfr. per tutte Cass, 11 maggio 2009 n. 11720).

Nè può rilevare, ai fini di cui trattasi, l'eventuale diversità della qualifica del lavoratore assunto successivamente se tale assunzione avviene per l'espletamento, come nel caso di specie, delle stesse mansioni inerenti la posizione lavorativa soppressa.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.” (Cassazione civile  sez. lav.  14/05/2012 n.7474).

La motivazione della sentenza della corte di cassazione è assolutamente ineccepibile. Quel datore di lavoro poteva non avere torto perché il licenziamento era manifestatamente infondato.

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

Termini di decadenza per l'impugnazione del licenziamento

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch' essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta' del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione e' inefficace se non e' seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Legge 604/1966

Tentativo preventivo di conciliazione

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qualora disposto da un datore di lavoro che occupi più di 15 addetti, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore. Nella comunicazione il datore di lavoro deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonche' le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente effettuata quando e' recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero e' consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro. La procedura si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro. La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione e' valutata dal giudice nel successivo ed eventuale contenzioso giudiziario. Legge 604/1966 art. 7.

Durante la prova si può licenziare anche verbalmente

Il licenziamento deve essere comunicato per iscritto e devono essere indicati i motivi. I lavoratori assunti in prova  possono essere licenziati anche oralmente. Ma è consigliabile usare anche per essi la forma scritta con la motivazione del mancato superamento della prova. Legge 604/1966