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Un'accusa di mobbing, infondata ma devastante per il capo ufficio

assolto per insussistenza dei fatti

Una impiegata di una grossa azienda lombarda ha accusato il suo responsabile di reparto di farle mobbing, per averla lasciata per lungo tempo senza fare nulla o quasi. La dipendente lamentando questa circostanza ha presentato una denuncia alla procura della repubblica per maltrattamenti.

Milano, i giudici, un diverso 25 Aprile | Libertà e GiustiziaLa procura della repubblica di Milano, dopo avere sentito la parte offesa e denunciante, senza effettuare alcun accertamento preventivo con l'esame di eventuali testimoni e accertamenti sulla persona della stessa denunciante, ha chiedo il rinvio a giudizio del capo reparto. Il gip ha accolto la richiesta del pubblico ministero.

In dibattimento sono stati sentiti numerosi testimoni ma tutti hanno sconfessato l'accusa riferendo che all'interno dell'ufficio i rapporti erano buoni così come buoni erano i rapporti tra il capo reparto e la sua denunciante.

In sede dibattimentale é emerso che la denunciante aveva di suo e da tanti anni  gravissimi problemi psicologici, anche con pesante trattamento di psicofarmaci, che la procura della repubblica ignorava del tutto, e che risalivano lontano nel tempo, ma che non erano mai scomparsi. Questi disturbi non avevano alcun nesso casuale con la situazione lavorativa all'interno dell'azienda perché erano antecedenti ai mesi in cui avrebbe subito il lamentato mobbing.

In dibattimento é emerso, inoltre, che la denunciante aveva avuto dei gravi problemi familiari, che avevano causato la sua separazione dal marito, che l'aveva lasciata andando a vivere altrove.

La denuncia penale é stata chiaramente frutto di una mente compromessa da sofferenze personali che hanno inquinato la comprensione degli avvenimenti da parte dell'interessata.

Il tribunale, su richiesta dello stesso pubblico ministero, ha assolto, dopo lunga e travagliata storia dibattimentale, il capo reparto con la formula più ampia, per insussistenza del fatto.

La parte offesa, che si é costituita parte civile, ha proposto appello contro la sentenza di assoluzione.

marzo 2014

 

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La professione di avvocato incide nel campo della libertà, della sicurezza, della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello Stato di diritto. Essa si esercita con autonomia e indipendenza, dignità ed onore, segretezza professionale e lealtà, al fine di tutelare i diritti e gli interessi della persona nei confronti tanto dei privati quanto dei pubblici poteri, contribuendo così alla applicazione delle leggi ed alla corretta amministrazione della giustizia. In una società democratica l’Avvocatura rappresenta un baluardo normativo nella difesa dell’interesse pubblico al perseguimento della giustizia. L’avvocato, dunque, non è mero prestatore di servizi, in un’ottica di puro mercato; il suo é un impegno professionale e sociale, perché al di là del singolo caso concreto, che vede protagonisti le parti del processo, vi sono regole e principi generali che compongo l’ordinamento giuridico, sul cui rispetto è fondata la pacifica convivenza di tutti. Come scriveva l’illustre giurista, e Costituente, Piero Calamandrei: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. (…) L’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. L’avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di caritàPer questo amiamo la toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero: al quale siamo affezionati perché sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso: e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia”. L’avvocato è strumento stesso della giustizia, nella misura in cui avvicina chi ha subito un torto al giudice, che è chiamato a fornire il giusto rimedio di legge. Avv. Paolo Gallo