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LESIONI DA INCIDENTE STRADALE,REATO,TRATTAMENTO

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08/01/2014


Lesioni da incidente stradale, reato, trattamento

La normativa in vigore ha derubricato le responsabilità di chi commette incidenti stradali anche gravi. Le lesioni colpose hanno il medesimo trattamento penale degli infortuni sul lavoro. Ma forse lesioni colpose e omicidio colposo a seguito di incidenti stradali dovrebbero essere considerati crimini odiosi al pari di tanti altri e meritevoli di congrue sanzioni penali.

Ormai, quotidianamente, abbiamo preso l’abitudine di ascoltare, come un fatto normale e ineluttabile, il bollettino delle stragi che si consumano, giorno dopo giorno, sulle nostre strade. È un bollettino triste che ricorre di continuo. Ormai sembra un fatto ineludibile contro cui ogni reazione è priva di effetti. Le notizie sui giornali sono riportate nelle pagine interne, nelle trasmissioni radio- televisive quasi non vengono più riferite, rientrando nella normalità quotidiana. La notizia prende rilevanza solo quando la strage assume proporzioni veramente inusuali. Diversamente tutto rientra nella routine.

Il legislatore ha tentato di porre rimedio a questa tragedia, realizzando degli interventi giuridici che, ad oggi, si sono rivelati del tutto inconsistenti, irrilevanti ed ininfluenti. Per ultimo, si veda la creazione della cosiddetta patente a punti che, nei primi mesi, sembrava aver prodotto qualche effetto positivo ma poi tutto è rientrato nella normalità, con morti e feriti che si susseguono con monotona sequenza.

Questa strage continuerà fino a quando non sarà modificata in modo radicale la legislazione vigente e fino a quando non interverranno mutamenti significativi nel modo di intendere la circolazione e la vita umana. Occorre sapientemente e oculatamente reprimere e prevenire.

Una scelta, certamente sciagurata, che ha aggravato il disastro è stata quella del legislatore quando ha modificato, nel 1981, con la legge n. 689, la disciplina delle lesioni colpose e successivamente ha introdotto il patteggiamento e il rito abbreviato. Prima di questa data e di questa riforma, se le lesioni colpose superavano la durata di quaranta giorni, automaticamente, si procedeva d’ufficio con l’azione penale contro il responsabile.

Come si può ben comprendere, questa normativa e questo meccanismo giuridico determinavano l’esistenza di un notevole contenzioso penale nei tribunali. Il legislatore ha pensato di ridurre questo contenzioso, sottoponendo le lesioni colpose, qualunque fosse la loro durata ed i postumi permanenti subiti dall’infortunato, alla condizione di procedibilità a patto che la parte offesa lo richiedesse. Senza questa richiesta, che tecnicamente si chiama querela, la procura della Repubblica non può promuovere alcuna azione penale e non si celebra nessun processo. In questo nuovo contesto, la parte offesa può aver subito, in conseguenza dell’incidente stradale, anche una invalidità permanente nella misura del 99%: il procedimento penale non si avvia se non vi è la presentazione della querela. In questo modo le lesioni colpose, qualunque sia la loro entità, durata e percentuale della invalidità permanente, rimangono un fatto fra privati totalmente indifferente per l’ordinamento pubblico. La questione si riduce così ad una lite di semplice risarcimento dei danni che si definisce nel rapporto diretto ed esclusivo tra la parte offesa e la compagnia di assicurazione.

Il responsabile dell’incidente, se ha l’accortezza di far sì che la compagnia di assicurazione provveda al risarcimento dei danni ed adotta un atteggiamento di gentilezza nei confronti dell’infortunato, magari chiamandolo in ospedale per informarsi delle sue condizioni di salute e delle previsioni di guarigione, per impedire la presentazione della querela, non subisce conseguenza alcuna, nemmeno di semplice natura patrimoniale: al risarcimento dei danni provvede in ogni caso la sua compagnia di assicurazione. Al più, chi ha costretto per tutta la vita una persona a circolare sulla sedia a rotelle può rischiare personalmente il pagamento di qualche euro di contravvenzione per non essersi fermato allo stop o per aver attraversato l’incrocio con semaforo rosso nella sua direzione di marcia. Può darsi che l’autorità amministrativa competente provveda anche alla sospensione della patente ma è una eventualità per lo più remota e in ogni caso risolvibile in poco tempo e con qualche sopportabile fastidio.

Il codice penale, anche dopo la riforma del 1981, ha mantenuto inalterata la precedente disciplina della procedibilità d’ufficio nei confronti del responsabile nel caso in cui vi sia il decesso di una persona. In questo caso, se dal rapporto delle autorità di polizia intervenute in occasione dell’incidente si evince una minima responsabilità a carico del conducente del veicolo coinvolto, si promuove automaticamente l’azione penale con il successivo rinvio a giudizio. Ma con il nuovo sistema penale che ha introdotto il cosiddetto patteggiamento (art. 444 del codice di procedura penale, applicazione della pena su richiesta delle parti) e il rito abbreviato (art. 247 codice di procedura penale), le conseguenze nei confronti del responsabile possono essere particolarmente lievi e sostanzialmente insignificanti. Il responsabile di un incidente che ha causato la morte di una persona può, con la concorrenza di vari elementi (avvenuto risarcimento dei danni ai superstiti, richiesta di patteggiamento della pena oppure della definizione del giudizio con il rito abbreviato, assenza di precedenti penali e inesistenza di circostanze particolarmente gravi ed odiose a carico dell'imputato), fondatamente sperare di chiudere il processo penale con la pena di quattro mesi di reclusione, la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel certificato penale. Non è raro veder concludere procedimenti penali di omicidio colposo definiti con la pena indicata.

Il risultato è veramente sconcertante. La vita umana non può avere un così scarso valore ed una così ridicola considerazione. L’ordinamento giuridico di fronte alla morte di una persona, anche se derivante dalla circolazione stradale, non può reagire con una punizione talmente irrisoria e quasi superflua. Non è esagerato parlare di insulto al buon senso e ad ogni principio morale, senza con ciò volere imporre una visione semplicemente ed esclusivamente punitiva e repressiva dell’ordinamento giuridico e penale. Questa normativa deve essere cambiata se si vuole invertire l’attuale stato delle cose.

La norma giuridica, nel punire un determinato comportamento, ha il compito di reprimere in modo idoneo chi si è reso autore di quel fatto, anche perché, nel contempo, lancia un messaggio forte e chiaro affinché lo stesso autore e altri non abbiano a porre in essere simile condotta. In questo modo si punisce in modo giusto chi ha violato la normativa del codice della strada ma si avverte la generalità degli utenti ad usare il massimo della prudenza nella guida di un veicolo per non incorrere nelle stesse conseguenze. Così si compie effettiva prevenzione. Si reprime e si previene.

Gli operatori della giustizia devono, inoltre, mutare atteggiamento nei confronti di questo tipo di reato che viene considerato quasi di secondo ordine. Non devono assumere un atteggiamento quasi di fastidio quando una parte lesa chiede che venga promosso il giudizio penale. In presenza di lesioni colpose e di procedimento penale gli operatori della giustizia (giudici, pubblici ministeri, avvocati) si danno un gran da fare perché il procedimento penale venga definito con la remissione della querela e non se ne parli più. Come si sa il processo penale, in caso di lesioni colpose, si radica solo se vi è la presentazione della querela di parte, depositata nel termine dei 90 giorni dal fatto, ma, nello stesso modo in cui nasce, il processo si estingue se, in qualsiasi momento, la parte offesa provvede a rimettere la querela, cioè a ritirarla. Diventa così un fatto di natura privata. Lo Stato manifesta in questo modo la sua totale indifferenza di fronte alle lesioni, anche se di entità tale da costituire letteralmente un’anticamera della morte. Le lesioni colpose, se gravi, non possono essere un fatto privato ma occorre che vi sia una ingerenza pubblica a salvaguardia dell’interesse generale alla sicurezza della circolazione stradale. Lo Stato, in presenza di lesioni colpose gravi, deve intervenire d’ufficio con il promuovimento dell’azione penale, perché in questo modo si afferma l’importanza dell’integrità della vita psico-fisica e si lancia un messaggio di generale prevenzione.

Se si vuole veramente tentare di arginare la strage, occorre modificare profondamente la legislazione vigente:

• si deve procedere d’ufficio nel caso in cui le lesioni personali siano gravi. In questo modo la disciplina delle lesioni colpose ha il medesimo trattamento penale degli infortuni sul lavoro;
• bisogna prevedere un minimo di pena, dignitosa e proporzionata, nel caso di omicidio colposo. I giudici, nell’applicare le varie attenuanti, non devono in ogni caso infliggere una pena che sia inferiore ad un certo numero di mesi tassativamente previsti per legge;
• occorre organizzare e rafforzare gli uffici giudiziari, affinché i processi siano celebrati celermente e la pena inflitta, poca o tanta che sia, diventi certa e tempestiva. Anulla vale inasprire sulla carta le sanzioni penali se poi i processi non si celebrano per mancanza di struttura e di organizzazione e i reati si estinguono per prescrizione;
• è necessario cambiare la mentalità degli operatori e della generalità dei cittadini, facendo sì che questo tipo di reato (lesioni colpose e omicidio colposo) venga considerato odioso al pari di tanti altri e meritevole di sanzione penale.

In questo modo forse le cose cambieranno e qualche vita umana si riesce a salvare. 

10/2004 

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