11/01/2024
Alcuni lavoratori, rivolgendosi al Tribunale di Milano, esponevano di essere dipendenti di una società con mansioni di portiere come addetti alla guardiania presso una società terza quale committente dell’appalto di servizi e di svolgere la loro prestazione lavorativa prevalentemente nel turno notturno (dalle ore 19,40 alle ore 06,50) senza pausa, per quattro notti consecutive e due giorni di riposo, per un turno giornaliero di 11 ore e 10 minuti, nonché di essere inquadrati nel livello D ccnl per i dipendenti di istituti ed imprese di vigilanza privata servizi fiduciari. Assumevano che la loro retribuzione tabellare lorda era pari al netto mensile di euro 863,00 per tredici mensilità, ossia ad una paga oraria (con applicazione del divisore di 173 ore previsto dal ccnl) di euro 5,49. Deducevano che la loro retribuzione era al di sotto della soglia di povertà e quindi non conforme ai principi di cui all’art. 36 Cost.
Chiedevano, pertanto, al Tribunale di Milano l’accertamento del loro diritto ad una retribuzione mensile lorda pari a quella riconosciuta dal ccnl portieri (dipendenti da proprietari di fabbricati), categoria D1; del loro diritto a percepire, per ogni giorno di ferie, la retribuzione relativa ad ore 11 e minuti 17. Il Tribunale diMilano, in accoglimento delle domande, dichiarava il diritto dei lavoratori ad una retribuzione mensile ordinaria lorda di euro 1.218,00, oltre agli scatti di anzianità, per tredici mensilità; condannava la società a pagare gli importi dovuti in conseguenza di queste dichiarazioni. Contro la sentenza ha proposto impugnazione il datore di lavoro ma la Corte di Appello di Milano l’ha rigettata con chiara, ricca e articolata motivazione, che riportiamo di seguito:
“a) il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente è previsto dall’art. 36 Cost. con forza imperativa, tale da determinare la nullità della clausola contrattuale, del contratto di lavoro, individuale o collettivo, che preveda una retribuzione inferiore a questa soglia minima; b) da tale principio, affermato dalla Corte di Cassazione, deriva che, contrariamente a quanto sostenuto da g***spa, il fatto che la retribuzione sia prevista da un CCNL (vigilanza sezione servizi fiduciari) proveniente da associazioni pacificamente rappresentative, non è sufficiente a far ritenere di per sé legittimo il trattamento retributivo, ben potendo il Giudice dichiararne la nullità laddove, all’esito di uno scrutinio improntato a prudenza, risulti che tale retribuzione non sia sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa; pertanto la valutazione del Tribunale è corretta, perché ha preso come raffronto un CCNL applicato ad altri lavoratori che svolgono le medesime mansioni, e va condivisa, laddove ha considerato che i lavoratori svolgono mansioni di portierato e di addetti alla guardiania presso le sedi di A***spa, lavorano nel turno di notte (19,40-06,50) senza pausa per quattro notti consecutive e due notti di riposo, con un turno di lavoro giornaliero di 11 ore e 10 minuti, con una retribuzione tabellare lorda di euro 930,00, integrata dalla somma di euro 20,00 quale anticipazione sui futuri aumenti contrattuali, il tutto pari alla somma netta di euro 863,00 per tredici mensilità; tale retribuzione non è proporzionata sul piano oggettivo, se solo si consideri che l’impegno lavorativo non solo è defatigante per l’orario, ma è tale da rendere impossibile lo svolgimento di altre attività lavorative; e) inoltre tale retribuzione non è sufficiente, poiché non raggiunge neppure la soglia della somma netta di euro 1.000,00 e quindi non consente al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, che non può essere intesa come un mero diritto alla sopravvivenza; f) la sproporzione e l’insufficienza emergono chiaramente anche dal raffronto con altri ccnl astrattamente applicabili al medesimo settore produttivo di G***spa (multiservizi, commercio, portieri), sottoscritti da organizzazioni sindacali parimenti rappresentative, per mansioni sovrapponibili a quelle svolte dai lavoratori a parità di anzianità; g) a ciò si aggiunga che la retribuzione percepita dai lavoratori, che lavorano esclusivamente in turni di notte, non è comprensiva di una maggiorazione retributiva per il lavoro notturno ordinario, a causa dell’assenza di una specifica clausola contrattuale; il turno notturno è oggettivamente più penoso di quello diurno, perché sottrae il lavoratore al normale riposo notturno, costringendolo a rinviarlo alle ore diurne, che vengono così sottratte ad altre attività della vita quotidiana; h) nessuna rilevanza ha il diverso divisore previsto dai contratti collettivi messi a confronto; va quindi respinta la tesi di G*** spa, secondo cui il ccnl applicato, prevedendo il divisore 173, assicura una retribuzione oraria di euro 5,49, superiore a quella di euro 5,38 garantita dal ccnl portieri livello A1.
Sul piano della sufficienza, la retribuzione netta di euro 863,00 è appena sopra la soglia di povertà, che, secondo il rapporto ISTAT per l’anno 2018, per un residente di età compresa fra i 18 e i 59 anni, residente in un’area metropolitana del nord Italia, è pari ad una capacità di spesa e quindi ad una retribuzione netta di euro 834,66, che aumenta ad oltre euro 1.600,00 nel caso di moglie e due figli a carico, di età compresa fra i 4 e i 10 anni;
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione proposta dal datore di lavoro, ha rigettato ogni domanda, ritenendo corretta la decisione della Corte di Appello di Milano con l’affermazione dei seguenti principi.
-Il giudice ha il potere di correggere la contrattazione collettiva a tutela della precettività dell’articolo 36 Costituzione, che garantisce al lavoratore il diritto a percepire quella retribuzione che gli garantisca una vita libera e dignitosa; la comparazione deve fare riferimento al trattamento complessivamente percepito senza soffermarsi sull’entità del singolo emolumento. Questo potere del giudice è ampiamente discrezionale.
-Il Tribunale e la Corte di Appello “godono di un'ampia discrezionalità nella determinazione della giusta retribuzione, potendo discostarsi (in diminuzione ma anche in aumento) dai minimi retributivi della contrattazione collettiva e potendo servirsi di altri criteri di giudizio e parametri differenti da quelli contrattual-collettivi (sia in concorso, sia in sostituzione), con l'unico obbligo di darne puntuale ed adeguata motivazione rispettosa dell'art.36 Cost.”
-Il riferimento alle retribuzioni del contratto collettivo integra solo una presunzione relativa di conformità alla Costituzione, suscettibile di accertamento contrario. Ben può un lavoratore invocare un contratto collettivo diverso da quello del suo settore di appartenenza, deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto collettivo applicato al suo rapporto di lavoro, avendo il diritto di poter uscire dal salario contrattuale della sua categoria di appartenenza.
- “Per la cogenza dell'art. 36 Cost., nessuna tipologia contrattuale può ritenersi sottratta alla verifica giudiziale di conformità ai requisiti sostanziali stabiliti dalla Costituzione con norma precettiva di rango sovraordinato”.
- “ Va ricordato che nella Costituzione c’è un limite oltre il quale non si può scendere. E questo limite vale per qualsiasi contrattazione collettiva, che non può tradursi in fattore di compressione del giusto livello di salario e di dumping salariale, in particolare quando vi è la presenza di molteplici contratti collettivi in uno stesso settore, tanto più se sottoscritti da soggetti poco o nulla rappresentativi”.
Individuati i parametri della retribuzione del contratto collettivo “non è escluso che questi siano sottoposti a controllo e nel caso disapplicati allorché l’esito del giudizio di conformità all’art. 36 Cost. si riveli negativo, secondo il motivato giudizio discrezionale del giudice, con conseguente nullità delle relative clausole.”
Cassazione sezione lavoro sentenza n. 28.320 pubblicata il 10 ottobre 2023
Questa sentenza della Corte di Cassazione costituisce un forte contributo nel contrasto del lavoro povero ovvero la povertà nonostante il lavoro.
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