06/12/2017
Fatti di causa
La moglie e i figli di un lavoratore deceduto a causa di un infortunio sul lavoro hanno proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento, dal quale erano stati esclusi, per l’accertamento del credito risarcitorio ad essi congiunti spettante, a causa del grave infortunio sul lavoro occorso e che aveva provocato la morte del loro congiunto, dopo cinquanta giorni di agonia.
Il Tribunale e la Corte di Appello hanno ammesso i congiunti al passivo del fallimento. Nella controversia avanti i giudici di merito si è dibattuto anche sull’onere probatorio e sulla sua ripartizione tra le parti di causa. La Cassazione chiamata a pronunciarsi su questo specifico punto ha affermato che:
“a) incombe sul lavoratore l’onere di provare di aver subito un danno e il nesso causale con lo svolgimento della prestazione; quando siano state provate tali circostanze, grava sul datore di lavoro l’onere di provare di a vere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (per tutte Cass. n. 3650 del 2006);
b) il nesso eziologico può e deve ritenersi interrotto:
- dalla sopravvenienza di un fattore sufficiente da solo a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni (Cass. n. 13954 del 2014);
- dall’avere assunto la condotta del lavoratore il carattere dell’abnormità, sussistente quando la stessa sia anomala ed imprevedibile (Cass. n. 14270 del 2004) e si ricolleghi ad una scelta del lavoratore estranea alla prestazione lavorativa. Il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore, è dunque interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggerne l’incolumità nonostante la sua imprudenza o negligenza (Cass. n. 24798 del 2016, n. 1994 del 2012). Egli, in detta ipotesi, può essere esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, dell’imprevedibilità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute e, in difetto degli stessi, è integralmente responsabile dell’infortunio (Cass. n. 27127 del 2013, n. 4656 del 2011, n. 19494 del 2009).
Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l’imprenditore, all’eventuale concorso di colpa del lavoratore. La condotta di quest’ultimo può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento. A questo fine è necessaria una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (Cass. n. 2209 del 2016, n. 27127 del 2013, n. 4656 del 2011, n. 22818 del 2009).
Peraltro, neppure è qualificabile come abnorme il comportamento del lavoratore che intervenga, nell’esecuzione delle ordinarie mansioni assegnate, su un macchinario per effettuare una riparazione, qualora ciò sia dettato da una necessità, non solo possibile, ma anche probabile del procedimento lavorativo (Cass. n. 20533 del 2015).
Tali principi, pacifici nella giurisprudenza della Corte, sono stati osservati dal Tribunale che, per affermare la responsabilità esclusiva del datore di lavoro, ha valorizzato l’accertamento contenuto nella perizia assunta nel processo penale (non contestata in quello civile), chiaro ed univoco nel ricondurre l’evento ad "un insieme di situazioni dipendenti dalla inadeguatezza in termini di sicurezza del mezzo utilizzato", precisamente identificate (consistenti nel difetto della "presa di forza su scambio" e nella modalità di installazione della stessa). È dunque evidente il riferimento a violazioni inerenti le misure antinfortunistiche ascrivibili al datore di lavoro. La circostanza che è stata riscontrata dal perito di "una certa imprudenza del lavoratore" è significativa, ma in senso opposto alla tesi del ricorrente. Essa infatti dimostra l’inesistenza del carattere dell’abnormità della condotta (nei termini dianzi descritti) e, al più, un’imprudenza nell’utilizzazione del "selettore" inidonea ad escludere la responsabilità esclusiva del datore di lavoro, siccome peraltro ricollegata ad una modalità resa possibile dalle carenze (pure evidenziate dal perito) concernenti le misure di funzionamento (e sicurezza) della "presa di forza".” Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 13 luglio – 5 dicembre 2017, n. 29115.
Nella foto: opera di Vasco Bendini, pittore (Bologna, 27 febbraio 1922 – Roma, 31 gennaio 2015).