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Non basta il semplice diverbio contro il superiore per giustificare un licenziamento.

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20/01/2017

Cassazione sentenza n. 1315/17

Per essersi rifiutato di svolgere l’attività ordinatagli dal capo turno e per il tono minaccioso usato nei confronti del responsabile dello stabilimento, un’azienda ha adottato nei confronti del lavoratore il licenziamento per giusta causa. Il lavoratore ha  impugnato il licenziamento avanti il tribunale; il tribunale ha disposto la sua reintegrazione nel posto di lavoro perché, a suo dire, l’azienda ha dato prova solo di una animata discussione tra il responsabile dello stabilimento ed il lavoratore mentre non ha fornito idonea prova sulla sua insubordinazione. Conseguentemente,  il tribunale ha ritenuto il comportamento del lavoratore non tanto grave da meritare la sanzione espulsiva "in quanto non si è realizzato né un inadempimento di tale gravità da minare la fiducia del datore di lavoro nei successivi adempimenti né una grave insubordinazione". La controversia È finita avanti la corte di cassazione perché l’azienda non si è ritenuta soddisfatta della sentenza della corte di appello che aveva confermato la sentenza del tribunale.

La corte di cassazione ha confermato, però, la sentenza ritenendo che la corte di appello aveva utilizzato in modo corretto le prove testimoniali raccolte; dalle dichiarazioni testimoniali era emerso un comportamento a carico del lavoratore non tanto grave da poter giustificare la sanzione dell’espulsione dal posto di lavoro. Vi è stata sicuramente "una animata discussione tra il lavoratore e il suo superiore, in cui molto probabilmente il lavoratore usò toni inurbani nei confronti del superiore" ma  non con quella gravità necessaria da poter giustificare il licenziamento. Il comportamento del lavoratore doveva essere punito con una sanzione conservativa del posto di lavoro ma non con il licenziamento.

La sentenza della corte di cassazione  impone delle serie riflessioni perché molto spesso accade che l’impresa si spinge ad adottare il licenziamento per dei semplici diverbi verbali tra il lavoratore e un suo superiore. Per il licenziamento occorre, invece, qualche cosa di più consistente e rilevante. Quantomeno il diverbio si deve accompagnare a minaccia grave o a insubordinazione grave. Occorre ovviamente dare sempre prova rigorosa e idonea di questo comportamento avanti i giudici.

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 1315/17; depositata il 19 gennaio)

 

la foto: opera di Renato Guttuso  (Bagheria 26 dicembre 1911 –Roma 18 gennaio 1987). è stato protagonista della pittura sociale e neorealista raffigurando il mondo del lavoro. Parlamentare comunista, insignito del Premio Lenin per la Pace. Visse la sua parabola dalla rivoluzione bolscevica  del 1917 al crollo del muro di Berlino del 1989.

Comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro agli enti amministrativi

Entro 5 giorni dalla data risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto ad informare il Centro per l’impiego competente della cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, Legge n. 264/1949).

 La comunicazione di cessazione deve essere eseguita anche in presenza di un rapporto di lavoro a termine, allorché avvenga in data antecedente alla data di fine rapporto comunicata al momento della sua instaurazione, proroga o trasformazione. Va comunicata inoltre anche la risoluzione posticipata nel caso del contratto a tempo determinato che si prolunghi per prosecuzione di fatto.

 L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 100 a € 500, per ciascun lavoratore interessato (art. 19, comma 3, D.lgs.276/2003). 

ARTICOLO 2119 codice civile. Recesso per giusta causa. Il datore di lavoro o il lavoratore  possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità sostituiva del preavviso.

ART. 18 dello statuto dei lavoratori. Tutela del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche' il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, Il datore di lavoro e' condannato, altresi', al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione.

ARTICOLO 2118 codice civile. Recesso dal contratto a tempo indeterminato. Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità.

In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.

 

Art. 18 dello statuto dei lavoratori : licenziamento illegittimo ma con il solo diritto ad una indennità risarcitoria, senza reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice, nelle altre  ipotesi (il fatto sussiste ed è stato commesso dal lavoratore) ma in cui accerta che non ricorrono comunque gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianita' del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.